Sergio Mattarella, un italiano giusto

di Marilicia Salvia
Mercoledì 10 Marzo 2021, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Mattarella Sergio, classe 1941, presente. Ci sono fotografie destinate a fare la storia, e quella che ritrae il presidente della Repubblica allo Spallanzani, seduto sulla poltroncina blu ad aspettare i canonici quindici minuti di osservazione dopo aver ricevuto il vaccino antiCovid è già un monumento. Non è solo un messaggio di speranza, come si sono affrettati a twittare molti professionisti della retorica. 

Certo che si accende, una fiammella di speranza, davanti alla prova provata che nonostante tutto, a dispetto delle difficoltà logistiche, delle carenze croniche di un sistema sanitario a pezzi, dei protagonismi dei politici e delle capriole di Big Pharma, lenta ma testarda la campagna di vaccinazione va avanti. E ci mancherebbe pure, d’altronde, a un anno esatto da quel 9 marzo della paura ma soprattutto dello sconcerto, il giorno in cui imparammo il senso della parola lockdown, il giorno in cui nulla nel Paese, come nel resto del mondo, fu più come prima. Ma si va avanti e lo si fa tutti insieme, tutti dalla stessa parte, tutti con lo stesso passo.

È questo che ci dice la foto del presidente Mattarella seduto su quella poltroncina blu, in quella sala d’ospedale piena di un’altra decina di identiche poltroncine blu tutte occupate da persone appena vaccinate, tutte sue coetanee, tutte sedute composte e pazienti come lui. Avrebbe potuto avere la sua dose subito il presidente della Repubblica, nello sbandieratissimo V-day del 27 dicembre, ma ha voluto aspettare il suo turno, arrivato una settantina di giorni dopo, mica bruscolini alla sua bella età. Avrebbe potuto avere medici e infermieri al Quirinale o almeno una saletta riservata allo Spallanzani, ieri mattina che finalmente il suo turno era arrivato. E invece eccolo lì, uno fra tanti, uno come tutti gli altri.

È questa la lezione di Mattarella per la quale dirgli grazie, altro che un banale spot per i vaccini. Ci ha spiegato, il presidente, che di fronte alla salute e alla malattia siamo tutti uguali. Che non ci sono treni per fuggire più veloci degli altri, quando il nemico è comune. Che se è giusto individuare dei criteri, in una inevitabile scansione temporale delle somministrazioni, questi criteri poi vanno rispettati, senza scorciatoie e senza eccezioni: di fronte al bene della salute ogni eccezione diventa privilegio, e nulla poi è più pernicioso del privilegio consentito al potere, tanto più quando, come nel caso della campagna vaccinale, il bisogno primario è quello della sua legittimazione agli occhi della comunità che vi si deve sottoporre. Mattarella Sergio, classe 1941, servitore dello Stato in quanto presidente della Repubblica si è vaccinato ieri perchè ieri a Roma era cominciato il turno degli under 80, dei fragili ma non fragilissimi, se così si può dire, ai quali la preziosa dose era stata somministrata in prima battuta.

Da cittadino, da uomo giusto, da presidente perbene ha capito e obbedito. Noi, da cittadini, non avremmo capito una sua eventuale scelta diversa, così come non riusciamo a capire - e in fondo neanche a perdonare - la decisione di quei politici che della propria posizione di servitori della cosa pubblica si sono fatti scudo per saltare con un solo passo tutta la fila.

Abbiamo tutti fretta di uscire dall’incubo, e tutti avremmo un motivo valido per mettere le mani su quella benedetta fiala prima degli altri. Ma ci sono sindaci che il Covid l’hanno preso ed hanno continuato in un modo o nell’altro a governare la propria città, ci sono commesse che tutto il giorno alla cassa del supermercato toccano merce toccata da altri, ci sono fisioterapisti che aspettano ancora il loro turno, sudando ogni giorno con due mascherine sulla faccia mentre manipolano il paziente, e lì provaci a rispettare la distanza di un metro. E così via, in un elenco infinito di ragioni e di urgenze.

Si può discutere, legittimamente, se sia stato logico vaccinare subito gli insegnanti e non ancora gli studenti, se non fosse stato il caso di dare la precedenza ai giovani, che sono quelli che vanno più in giro e che più di tutti rischiano di spargere il contagio, piuttosto che alle persone anziane più inclini a stare a casa; se ha senso far aspettare disabili e malati oncologici e se è giusto che pizzaioli e commercianti debbano tenere chiuse le loro attività, quando vaccinarli subito potrebbe dare una botta di vita pure all’economia. Si può discutere, e accade pure di litigare, se sia più «servizio pubblico» il mestiere dell’autotrasportatore o quello del giornalista, dell’avvocato o del barista. Ma il vaccino non è una giacchetta, non si può tirare da tutte le parti, che poi resta comunque un esercizio inutile. Il vaccino è una faccenda seria, da maneggiare con cura. Stiamo vivendo un passaggio quasi sacro, di certo solenne, in grado di dire molto della concretezza, dell’affidabilità di un Paese e dei suoi cittadini. Il presidente Mattarella, un italiano giusto seduto su quella poltroncina blu come noi, in mezzo a noi, non avrebbe potuto dirlo meglio. Noi ci siamo e ci crediamo: non chiediamo di venire prima, piuttosto cerchiamo di affrettare il passo. 

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