Napoli: santi e morti di camorra nel rione Sanità, dove il male sfida la fede

Napoli: santi e morti di camorra nel rione Sanità, dove il male sfida la fede
di Paolo Barbuto
Domenica 21 Novembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 17:16
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Il sabato di sole cocente rende ancora più bello il quartiere, passeggiare per la Sanità mescolandosi alla gente e ai turisti è un’esperienza ineguagliabile. La Sanità, quando vuole, sa essere davvero bella: è un coacervo di popoli che s’incontrano col sorriso, di palazzi antichi che ti osservano, di gente perbene e solidale che ti accoglie con entusiasmo, di ragazzi che si rimboccano le maniche e mostrano il volto vero, bello e pulito del quartiere. La Sanità è il quartiere di Napoli nel quale, secondo un censimento appena avviato, si concentra il maggior numero di edicole votive o di altarini che contengono anche riferimenti al mondo oscuro della malavita, della camorra. Gli altarini li scorgi ad ogni angolo, dietro ciascun vicolo, a qualunque incrocio, sono dedicati alla Madonna, al “Monacone” San Vicenzo Ferreri, a San Pio, Sant’Antonio. Alcuni sono antichi, molti sono recenti, tutti sono ben tenuti e accuditi con fiori freschi, tanti contengono fotografie di defunti tra quelle foto ci sono anche quelle di uomini dei clan morti ammazzati. Così diventano luogo di una venerazione che non ha più niente a che vedere con la religione, si trasformano in angoli di celebrazione nera.

Alla base di via Fontanelle c’è un gruppetto di turisti che cerca di raggiungere il cimitero delle capuzzelle «guardate che è inutile proseguire - la ragazza, occhi scuri e abiti alla moda, grida dall’altra parte della strada - il cimitero è chiuso, vi stancate inutilmente». I turisti sorridono, ringraziano ma proseguono, lei fa spallucce. Alle spalle della ragazza un piccolo santuario dedicato alla madonna dell’Arco invade tutto il marciapiede: sai chi sono le persone delle fotografie che stanno lì dentro? Sembra gentile, forse risponderà. Lei sorride «boh, sono di morti». Sai se c’è anche qualche morto di camorra? «Ma tu che vai trovando? Per piacere, tengo da fare...», si allontana indispettita. Adesso non pensate alla consueta questione dell’omertà che convince anche le persone perbene a coprire tutto il marcio in certi quartieri.

Qui la questione è differente perché proprio in queste vie, ai tempi della fondazione della città circondate dalle sepolture, il rapporto con la morte è esattamente quello raccontato dal principe De Curtis, Totò, nella sua “Livella”. Solo che questa livella fra bene e male è agghiacciante. La spiega con serenità la signora Luisa, capelli bianchi e busta con i friarielli da pulire per il pranzo, all’angolo fra via San Nicandro e via Villari: «Ma non ho capito a voi che vi interessa se questi nelle fotografie sono morti di malattia o sparati. Io mo’ non lo so chi sono, ma anche se fossero morti ammazzati, secondo voi sarebbe giusto negare alle famiglie la possibilità di ricordarli, di pregare per loro? Nemmeno dopo morti possono essere lasciati in pace?».

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Il percorso alla Sanità è un saliscendi di strade e di sentimenti. Le strade sono ripide, le persone sono gentili, qualcuna è cupa, gli altarini talvolta sono un pugno nello stomaco. Antonio ha vent’anni e due occhi vivaci da scugnizzo, si affianca nella camminata, sorride quando gli sguardi si incontrano, accetta di mostrare una cosa a patto che venga modificato il suo nome (infatti non si chiama Antonio) e non si citi il luogo dove mi porterà. Si va in certi vicoli un po’ stretti e meno battuti, passano solo un paio di scooter e il sole cocente non arriva più, si resta a distanza per non dare nell’occhio: «Vedi quelle due fotografie dietro Padre Pio? Quello a sinistra è un povero ragazzo innocente ucciso da un pazzo, quello a destra è morto da affiliato a un clan». E d’improvviso si manifesta tutto il paradosso degli altarini, del sacro, della religione che qui a Napoli, non solo alla Sanità, assume un significato inspiegabile. Cioè ci sono un ragazzo ammazzato innocente e un morto di camorra uno vicino all’altro? E le famiglie ne sono consapevoli? Basta uno sguardo: certo che ne sono consapevoli ma che ci vuoi fare? Il ragazzo spiega pure che spesso i simboli religiosi non sembrano nemmeno collegati alla camorra, eppure lo sono: una statua di Padre Pio può essere il ringraziamento per una pistola inceppata che ha salvato la vita durante un agguato, un altarino con la Vergine può essere un ex voto per aver concluso un grande affare di droga: «Mica c’è scritto “questa l’ha fatta un camorrista”? Però lo sanno tutti».

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Solo dopo aver guadagnato nuovamente strade più battute Antonio si allontana, è meno solare di prima, gli occhi sono tristi adesso. Sul muro di fronte una scritta in rosso con nome e cognome sotto ai quali c’è già una sentenza «sei una infame troia». D’improvviso la Sanità bella e solare appare cupa e schiacciata. Per ogni mille giovani con gli occhi vivaci e la voglia di cambiare tutto, ci sono dieci disgraziati che fanno da zavorra e tentano di proibire il cambiamento. Riuscendoci, purtroppo, in molte occasioni. Adesso l’attenzione è selettiva, passi a guardare le scritte. Qualche metro più avanti un altro messaggio, stavolta in nero, sul muro di un palazzo: anche qui nome, cognome e il timbro della malavita «sei un infame». Allora cominci a “leggere” i muri e scopri che i riferimenti alla malavita sono tanti, sparsi ovunque, spesso scritti con mano tremolante da terza elementare. Due giovani turisti fanno una foto all’eccezionale scalinata di palazzo Sanfelice poi si abbracciano forte e si baciano, qualche metro più avanti, per terra c’è un “sacco” da boxe abbandonato chissà da chi, chissà quando. Una decina di metri più giù c’è un cartello, realizzato forse da un bambino, almeno a giudicare dal disegnino: c’è scritto «non buttare i rifiuti, grazie». Sotto al cartello una montagna di immondizia alta quanto un’automobile.

Perché la Sanità bella e tenace non riesce a imprimersi una svolta? Pensi con rabbia alla bellezza del luogo e della gente, ai turisti che ora passano a frotte, alla folla davanti alla pizzeria più famosa del quartiere, all’entusiasmo dei ragazzi della “paranza”, al “modello catacombe” che viene addirittura esportato, poi guardi la montagna di monnezza sotto al cartello del bimbo, le scritte contro gli infami lasciate sui muri, gli altarini con la Madonna e i Santi costretti a vegliare sui morti dei clan: sembra tutto un controsenso. Il censimento realizzato dalla polizia municipale, spiega che qui alla Sanità c’è il più alto numero di altarini, fotografie, angoli, scritte, dedicate ai clan. Quel censimento è solo all’inizio, così ti viene da pensare che se la gente meravigliosa solare di questo quartiere riuscisse a imprimere l’ultima svolta, quel censimento andrebbe rifatto e spiegherebbe che no, la Sanità non ha più niente a che vedere con i clan. Però poi imbocchi un vicolo, scopri dieci abusi in fila sulla strada pubblica, vedi tre altarini colmi di fotografie, capisci che quel censimento è reale e t’intristisci, anche se c’è il sole e la gente ti sorride.
 

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