Trovo ingiusto infangare il “racconto” di Geolier

di Fabrizio Coscia
Martedì 13 Febbraio 2024, 23:55 - Ultimo agg. 14 Febbraio, 06:04
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Nei giorni successivi al festival di Sanremo non si sono placate le polemiche su Geolier e, si sa, il veleno è semprenella coda.

Sui social gira, ormai virale, un video che immortala il giovane rapper di Secondigliano mentre imbraccia un mitra placcato d’oro su un Suv carico di altre armi e lanciarazzi, e rappa versi non proprio edificanti su «fratelli» criminali e figli di boss, ostentando sessismo e potere malavitoso. Il video, tratto dal pezzo «Narcos», risale al primo album, «Emanuele», di cinque anni fa, trampolino di lancio per la fulminea ascesa del talentuoso freestyler nella nostra scena hip-hop. Naturalmente il repêchage ha come unico intento quello di gettare fango sul successo sanremese di Geolier. È questa la Napoli che ci dovrebbe rappresentare? Un cattivo esempio da cui stare alla larga!Chemodelli offre ai giovani? Sono commenti e polemiche che si ripetono quando di Napoli si dà una certa rappresentazione, lo si è fatto anche con «Gomorra», e con «Mare fuori».

Il fenomeno Geolier, in particolare, si espone ancor più all’equivoco, all’impennata moralista, nella misura in cui le polemiche festivaliere hanno svelato non solo un diffuso razzismo antipartenopeo, pronto a emergere tutte le volte che, fateci caso, un napoletano si afferma sfuggendo ai canoni, ai cliché che gli si vuole imporre; ma anche una sostanziale estraneità degli italiani nei confronti della scena musicale rap/trap/hip-hop. Una estraneità che ci rivela molto di un Paese che invecchia sempre di più, e male, incapace di mettersi in ascolto dei giovani. E non lo dico perché penso che i giovani abbiano sempre ragione, ma perché sono convinto che dovremmo fare uno sforzo di comprensione, sia per capire che tipo di mondo abbiamo lasciato loro in eredità, sia per intercettare ciò che ha generato il loro incontro - o urto, o frizione - con questo mondo. Perché la spaccatura creatasi tra Geolier sul palco di Sanremo e il pubblico dell’Ariston è anche questo: non solo il pregiudizio razzista, ma l’ignoranza.

A tutti coloro che continuano in maniera compulsiva a postare sui social il video di «Narcos» per prendere le distanze da un modello deviante, dunque, consiglierei la lettura di un libro utilissimo ancora oggi: «Il rap spiegato ai bianchi» di David Foster Wallace e Mark Costello (minimum fax), che pur riferendosi alla musica afroamericana degli anni Ottanta si adatta perfettamente anche al rap napoletano di oggi, che a quei modelli si è ispirato, sostituendo il South Bronx o Roxbury alla periferia partenopea. Il libro paragona la musica rap al «postmodernismo», ma parla anche dei temi prevalenti di questo genere musicale e del contesto sociale degradato e violento in cui esso è emerso. La prima cosa che il lettore imparerà è che l’ascoltatore esterno a quel mondo «deve leggere i pezzi rap come storie».

E quali storie può mai raccontare un ragazzo nato e cresciuto per le strade di Secondigliano? L’ascoltatore o lo spettatore del video incriminato dovrebbe allora chiedersi, prima di indignarsi: per chi sta parlando? e da chi vengono le cose che dice? Scoprirà che, come in ogni pezzo di «gangsta rap» che si rispetti, anche qui non si tratta di un inno alla criminalità, ma piuttosto di una storia di quel mondo.

Geolier racconta quello che conosce, che vede, che ascolta attorno a sé, descrive la realtà in cui è immerso e lo fa con voce autentica. Se milioni di ragazzi e ragazze di ogni provenienza sociale e di ogni città (compresi i nostri figli) amano le sue canzoni - che noi possiamo giudicarle superficiali e materialiste non conta - succede non per i contenuti che esse veicolano, ma per il modo in cui quei contenuti sono raccontati: un modo tosto, vero, accompagnato daun groove coinvolgente. Sentite che cosa dice Wallace: «La cazzuta genialità del rap sta inquesto processo circolare, un loop quasi digitale: ha trasformato l’orrore del suo mondo - tradito dalla storia, bombardato da segnali contraddittori, violento nella sua impotenza, isolato, claustrofobico e privo di vie d’uscita - ha trasformato questa specifica forma di orrore in una specifica forma d’arte d’avanguardia. Va persa la consolazione, ma si guadagna un nuovo tipo di mimesi, ruvida e spietata».

C’è altro da aggiungere? Possiamo stare a disquisire per giorni, resta il fatto che questa specifica forma d’arte, che molti di noi non amano, non capiscono, non riconoscono come tale, arriva con immediatezza alle nuove generazioni, così come arrivava la letteratura beat ai giovani degli anni Cinquanta, con grande scandalo e disprezzo dei custodi del gusto collettivo. Si dirà che i ragazzini di strada non sanno separare la narrazione dall’identificazione, e ciò comporta un rischio emulativo, ma questo vale per tutti i prodotti artistici, non solo per le canzoni di Geolier. Un artista non ha il compito di educare, ma solo ditrovare la voce giusta per veicolare emozioni senza cliché e una visione della vita senza retorica fasulla. E Geolier, che ci piaccia o meno, è un artista, seppure di un’arte un po’ «villain», di origine periferica e marginale, ma già sdoganata a suo tempo da un gigante come Séamus Heaney, il poeta irlandese premio Nobel che lodò il rapper Eminem per la sua «energia verbale» capace di «elettrizzare un’intera generazione». L’arte di Geolier è tutta qua, in fondo: saper trasformare in un racconto semplice, senza infingimenti, l’orrore di un mondo tradito dalla storia. Non siamo obbligati ad amarla, ma nemmeno a infangarla.

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