«Coronavirus a Napoli, i nuovi contagiati non presentano sintomi: il virus fa meno paura»

«Coronavirus a Napoli, i nuovi contagiati non presentano sintomi: il virus fa meno paura»
di Ettore Mautone
Lunedì 11 Maggio 2020, 09:00 - Ultimo agg. 18:06
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Ospedali Covid pressoché svuotati, pazienti in terapia intensiva (una ventina) sempre meno, quasi mille guariti o dimessi in una settimana, decessi in calo e nuovi ricoverati (che mantengono stabile il totale attorno ai 400) che accusano una sintomatologia più lieve e sfumata rispetto a quello che si vedeva al Cotugno, e negli altri Covid hospital, a marzo scorso. A fronte di ciò tanti malati asintomatici, o poco sintomatici, seguiti a domicilio da medici di famiglia: a cosa si deve l'attenuazione dell'infezione da Coronavirus? Dipende dal virus o dalle cure più adeguate? Il clima e la temperatura contano? Si tratta solo di una parentesi o di una china stabile? «Difficile dirlo con certezza - avverte Franco Faella, ex primario di emergenze infettivologiche del Cotugno che, da pensionato, è tornato in pista per guidare il Covid center del Loreto - probabilmente una serie di cofattori insieme. Conosciamo meglio il virus, i tamponi scoprono molti sintomatici e le cure sono più mirate. L'impressione è che però l'infezione decorra effettivamente in maniera meno violenta». «Il diradamento dei casi consente di concentrare le cure su pochi pazienti per cui chiaramente migliorano i risultati - aggiunge Carolina Rescigno, primario di una unità di infettivologia del Cotugno - dobbiamo tuttavia aspettarci una seconda ondata soprattutto in relazione all'irrigidimento del clima nel prossimo autunno. I coronavirus che conosciamo sono infatti favoriti da temperatura e umidità».
 

 

«La malattia si è diradata nel numero di casi e anche nell'entità clinica - sostiene Giuseppe Servillo, ordinario della rianimazione del Policlinico Federico II che proprio in questi giorni ha dimesso gli ultimi pazienti in letteratura è descritto questo fenomeno evolutivo delle epidemie virali ed è messo proprio in relazione al distanziamento che ostacolando la replicazione del microbo tende anche a condizionarne l'evoluzione naturale». La metafora per spiegare il fenomeno è quella dell'incendio. I piccoli focolai, non alimentati da nuovi contagi, tendono a spegnersi. Circolano pochi virus: da un lato si mantiene la pericolosità, come brace sotto la cenere, dall'altro il fuoco tende a spegnersi e riescono a riprodursi soprattutto i ceppi che circolano negli asintomatici. Così il virus aggira l'isolamento: mentre le variabili più letali si autoestinguono quelle benigne incassano un vantaggio competitivo stabilendo un progressivo equilibrio tra uomo e virus. «I nuovi casi positivi che scoviamo sono in massima parte asintomatici - conferma Maria Triassi, ordinario di epidemiologia della Federico II - e pertanto vengono curati soprattutto a casa con i nuovi protocolli. Il virus si sta adattando all'uomo ma continuerà a mutare. Dobbiamo trarre lezioni da questa epidemia: da un lato evitare una deriva cibernetica nei rapporti sociali, dall'altro rispettare l'ambiente. Il primo distanziamento necessario è dal mondo animale da cui questi virus provengono a causa dell'alterazione degli ecosistemi». «È vero, diminuiscono numericamente i pazienti che seguiamo a domicilio ma anche la gravità dei casi - conferma Pina Tommasielli, medico di famiglia e componente dell'unità di crisi - sempre più sono necessarie le cure adottate nel protocollo diagnostico e terapeutico territoriale messo a punto su scala regionale e validato dall'unità di crisi. I tamponi? Non hanno quasi più attese e hanno raggiunto ormai quota 5 mila al giorno. Complessivamente abbiamo uno dei rapporti migliori in Italia tra controlli e contagi. I tamponi non vanno misurati non rispetto alla popolazione totale ma al numero dei positivi circolanti».
 

C'è poi il capitolo della prevenzione: Corrado Perricone, ematologo e già direttore di immunoematologia del Santobono ex del Consiglio superiore della Sanità spiega: «Oltre a tamponi e screening per fotografare la positività al virus dovremmo aggiungere la valutazione dello stato immunitario mediante la tipizzazione linfocitaria, e la valutazione del rischio trombotico tramite lo studio della trombofilia genetica.
Ho invece riserve sull'utilizzo del siero iperimmune. L'obiettivo finale rimane in ogni caso la ricerca del vaccino e la sua diffusione». 

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