Ha creduto nella giustizia, si è fidata del codice rosso, che spinge il sistema giudiziario a fare presto, quando è una donna che chiede aiuto. Ma non ha ottenuto granché. Anzi. È morta senza neppure avere la possibilità di incrociare lo sguardo di un giudice, tanto che la sua storia viene fuori in una settimana in cui - doverosamente - si urla in coro il no alla violenza contro le donne.
Un caso rimasto per tre anni sepolto negli ingranaggi del sistema giudiziario, finito in archivio alcune settimane fa per la morte della parte offesa. Stroncata da un infarto, a soli 49 anni, Valentina A., aveva denunciato il marito.
Un caso che è giusto raccontare in questi giorni, quando la giornata contro la violenza delle donne impone un momento di riflessione collettivo. Insomma, che fare di fronte a una galleria di orrori? Come replicare all'ennesimo sacrificio di una donna al cospetto di un uomo violento? C'è una sola parola d'ordine, che rimbalza dai media alle tavole rotonde (in streaming) che si sono tenute in questi giorni: denunciare, denunciare, denunciare. Basta denunciare, si ripete, raccontare la propria storia a chi di dovere, anche se poi non è sempre vero, almeno a rivedere la storia del processo chiesto (inutilmente) da Valentina. Laconico l'avvocato Di Nocera: «È una storia che si commenta da sola, mi chiedeva quando avrà inizio il processo, voleva che la sua denuncia venisse affrontata in un dibattimento, ma non è stato possibile darle la parola al cospetto del Tribunale». Un processo con un solo imputato, una sola parte offesa, fondato sui referti medici e su alcune testimonianze, che si sarebbe dovuto concludere in pochi giorni. E che invece è durato oltre il dovuto, anzi - a voler essere precisi - non è neppure iniziato.
Eppure la donna aveva denunciato il marito di atti persecutori: aveva paura di subire aggressioni, la sua vita era condizionata dall'incubo di ritrovarselo sotto casa o sul posto di lavoro. Si era ammalata - almeno secondo quanto emerge dagli atti di un fascicolo mai aperto da un giudice - sperava al più presto di chiudere questa parentesi della sua vita. A chi la conosceva aveva confidato che riteneva fondamentale la sua presenza in un'aula di giustizia, nella sacralità di un processo, per ribadire in modo definitivo lo stato di prostrazione in cui si era venuto a trovare.
Nulla di tutto ciò, invece: non ha fatto in tempo a presentarsi davanti a un giudice; oppure, a seconda dei punti di vista, sono stati i giudici a non aver fatto in tempo ad aprire il suo fascicolo per darle la possibilità di raccontare la sua storia.