«Sono tranquillo, vado avanti». Il presidente della Regione Vincenzo

«Sono tranquillo, vado avanti». Il presidente della Regione Vincenzo
Sabato 21 Novembre 2015, 11:27
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«Sono tranquillo, vado avanti». Il presidente della Regione Vincenzo De Luca arriva al Mattino qualche minuto prima dell'una, stringe mani e sorride ai fotografi. Se è agitato o preoccupato per l'inchiesta sulle presunte pressioni ricevute da un aspirante manager della sanità, evita di dimostrarlo. E dopo un caffè risponde alle domande del direttore del Mattino Alessandro Barbano, del vicedirettore Federico Monga e dei giornalisti radunati intorno al tavolo della sala Siani. È un dialogo serrato, un fuoco di fila lungo oltre un'ora al quale il governatore si sottopone volentieri, non risparmiando battute e ironie, dopo il monologo del giorno prima, quando a Santa Lucia aveva convocato una conferenza stampa nel corso della quale non erano state ammesse domande. L'argomento del forum è naturalmente l'inchiesta sul caso Manna, ma De Luca traccia anche un primo bilancio della sua attività in Regione e anticipa le linee lungo le quali intende muoversi nell'immediato futuro.
Presidente, la vicenda giudiziaria che la vede indagato presenta ancora molti lati oscuri, sui quali la magistratura è chiamata a far luce in tempi il più possibile brevi, nell'interesse di tutti. Ma anche tra i fatti già noti affiora qualche ombra, su cui è il caso di soffermarsi. In particolare il suo comportamento è apparso ai limiti della reticenza, quando ha sostenuto che le dimissioni di Mastursi dipendevano dalla necessità di non avere due incarichi, mentre le era certamente già noto che il suo capo di gabinetto era coinvolto in un'inchiesta. Perché ha scelto il silenzio? E come sta vivendo queste ore di grande concitazione?
«Voglio prima di tutto rasserenare tutti. Io sono tranquillo, tranquillissimo. Non vivo nessuna tensione perché questa cosa non mi scalfisce, se fosse vero il contrario con tutte le vicende di questi anni sarei già al Creatore! Il punto è che non ho confezionato nessuna versione più o meno di comodo ma ho solo dato notizia delle dimissioni del mio collaboratore. Dimissioni sulle quali si ragionava da tempo, per la difficoltà di mantenere, lui che era anche vicesegretario regionale e responsabile organizzativo del Pd, un ruolo istituzionale pesantissimo».
Però lei la sera delle dimissioni era al corrente di tutto. E probabilmente anche prima. Perché ha aspettato tanto a commentare l'inchiesta?
«Io non ho fatto commenti, ho solo ribadito che il 29 ottobre avevo chiesto tramite il mio avvocato di essere ascoltato dalla Procura per chiarire una cosa sola: che non so niente di niente di niente. Certo ho mantenuto un atteggiamento di riserbo, ed è chiaro il perché: io non apro il dibattito su una vicenda sulla quale la magistratura sta lavorando, su cui le indagini sono in corso. Il riserbo era ed è mio dovere. Però ribadisco un concetto, espresso fin dal primo momento: la magistratura vada avanti senza guardare in faccia a nessuno. Io mi considero parte lesa, tirato in ballo in una storia di cui non so niente. La magistratura vada pure avanti e vada a fondo, il controllo di legalità e legittimità è fondamentale in un Paese democratico».
Il giorno dopo le dimissioni, martedì 10, si parla di un'inchiesta perché c'è stato un blitz nella sede della Regione. Anche a quel punto lei continua a sostenere la tesi del doppio incarico davanti a giornalisti e consiglieri. Non ritiene che questo atteggiamento non risponda a ciò che i cittadini si aspettano?
«Ribadisco la mia opinione e cioè che il fatto non esiste. Ancora oggi non so di cosa si stia parlando. Apprendo da voi che c'è un certo Manna che chiedeva incarichi alla mia segreteria. Il fatto è che tra il mondo immaginato dai giornali, e anche dalla magistratura, e quello reale c'è un abisso. In un'amministrazione come la nostra c'è un'invasione di persone che si propongono. È una valanga, ogni giorno. Cento, mille persone. Chiedono di tutto. E tra queste c'è chi si presenta esibendo o solo millantando conoscenze. Evidentemente c'era qualcuno che aveva voglia di fare un po' di millantato credito. E qui mi fermo. Non voglio andare una sola virgola oltre questo».
Presidente, con Nello Mastursi, suo braccio destro e uomo di fiducia per anni, ha avuto un chiarimento? Cosa vi siete detti? Dalle sue spiegazioni ha avuto modo di capire se c'era in ballo qualcosa di grosso?
«Con Mastursi ho parlato quando gli hanno sequestrato il telefonino. Mi ha detto che si trattava di fesserie. E io non ho avuto bisogno di sapere altro. Chi lavora con me sa che chi sbaglia paga, per me è colpevole tre volte. Mi sembrava tranquillo. E non mi ha mai, mai parlato di questo signor Manna. Né lui né altri mi hanno fatto questo nome. Ora i chiarimenti li dovrà dare al magistrato».
Di chi è stata la decisione delle dimissioni? Gliele ha chieste lei?
«No, sono state una scelta di Mastursi. Un gesto di responsabilità e sensibilità istituzionale».
Arrivato al termine di una catena di comportamenti discutibili, non le sembra?. Lei il giorno della perquisizione era a Milano per impegni istituzionali e Mastursi, che è uno dei suoi più stretti collaboratori, non l'ha informata come sarebbe invece stato suo dovere. È andata così?
«È vero, ha avuto sicuramente un comportamento sbagliato e infatti non c'è più».
Politicamente, intende.
«Sì ovvio. Oddio, non sarebbe una grande perdita se raggiungesse diciamo... ma fermiamoci qui».
Fermiamoci, certo, lei ha detto una cosa del genere alla Bindi ed è scoppiato un pandemonio. Piuttosto, sta confermando che aveva vicino una persona non adeguata al ruolo che rivestiva?
«Sì, penso che Mastursi non era adeguato al suo ruolo».
Presidente ma chi è Nello Mastursi? Ce lo racconta?
«Vi cito Montale. ”Non chiedere la parola che squadri da ogni lato...” Vi posso dire chi non è Mastursi. Non è Winston Churchill, non è Cavour. Che dire, ci sono persone che fanno il loro lavoro, a volte lo fanno bene a volte male».
Però lei sa che a volte un battito d'ali in una parte del mondo provoca una tempesta da un'altra parte. Lei adesso è in difficoltà, almeno dal punto di vista politico. Se ne rende conto?
«Ma io sono tranquillissimo. Poi magari Mastursi.. farà come il personaggio di Cervantes, orgoglioso della sua fama per quanto infame».
Ecco, Manna. Secondo lei cosa è successo?
«L'ho detto, negli uffici di un ente importante come la Regione sei inondato di richieste di persone che vogliono essere ricevute. Se ti rifiuti, manchi di rispetto e dicono che ti chiudi in una torre d'avorio. Se ti esponi, il rischio è permanente perchè poi non puoi chiedere l'esame del sangue di chi ti viene a parlare. Manna sarà stato ricevuto e avrà parlato con Mastursi, è possibile. Avrà insistito con una richiesta, non so se e da chi mediata, per avere un colloquio per proporsi per avere incarichi. Niente di più».
Ma il 17 luglio Mastursi riceve la notizia della sentenza a lei favorevole. Come fa a conoscerla in anticipo?
«Credo che siamo davvero all'assurdo se ci facciamo questa domanda. Lo avrà saputo dagli avvocati, gli avvocati sanno sempre le cose un pochino prima. Questo è tutto. Si è costruita una montagna intorno a questa cosa».
Stando a quanto emerso finora, Manna puntava a ottenere un incarico di rilievo nella sanità. E la sanità è il campo sul quale lei ha posto pubblicamente grande attenzione, annunciando l'intenzione di fare pulizia. Ha deciso di smantellare l'Arsan, bollandola come struttura clientelare. Toccando con mano le cose, ha avuto sentore di pressioni o resistenze?
«Non ci vuole la zingara per indovinare che la sanità è stato il campo di aggregazione di clientela politica più vasto degli ultimi decenni in Campania. E lì io ho fatto pulizia. Altro che promozione di Manna. Ho commissariato decine di strutture e aperto l'albo dei direttori generali, per avere in Campania il meglio del management sanitario che esiste in Italia. La direzione in cui mi sto muovendo è esattamente opposta a quella che si è vista finora, che conduceva a favorire questi o quelli. Io voglio avere una quantità di candidati di altissimo livello. Le stesse nomine che ho firmato finora mi vedono del tutto estraneo alle scelte: non conosco nessuno dei nominati, l'istruttoria è tutta tecnica e tutta delegata agli uffici. Qualche giorno fa abbiamo fatto una conferenza stampa per presentare le novità nel campo della sanità, e in quella occasione questi nuovi manager li ho visti per la prima volta. L'Arsan è parte della rivoluzione. Avrei potuto conservare questa inutile agenzia, sacca di clientele, per inserire qualcuno. Invece l'ho eliminata perché sia chiaro che per questa amministrazione la linea della trasparenza è fondamentale. Siamo noi a lanciare la sfida della trasparenza».
Altro che sfida, ora siete sotto attacco.
«Sì, ho letto questi titoloni... la Regione sotto attacco. Ma ho ragione io, siamo in posizione di sfida non di assedio. Chi pensa di lanciarci un assedio riceverà secchiate di olio bollente sulla testa. Basta pensare a tutte le cose importanti che abbiamo fatto in pochi mesi, tutte sulla linea della trasparenza: il protocollo d'intesa con l'Autorità anticorruzione di Cantone, il sito online riorganizzato per rendere la Regione davvero casa di vetro, la riorganizzazione delle partecipate che da 43 sono passate a sei; abbiamo eliminato l'Arsan, abbiamo bloccato le gare per la Soresa, ci siamo occupati dei conti con debiti fuori bilancio in sanità e trasporti; e abbiamo operato la sburocratizzazione dell'apparato regionale, stabilendo che ogni atto amministrativo dovrà avere un iter lungo non più di tre mesi».
Presidente, ci può anticipare quello che dirà ai magistrati?
«Ai magistrati dirò che non so niente di niente e chiederò se c'è qualcuno che ha fatto millantato credito e ha danneggiato l'immagine della Regione; chiunque sia sarà chiamato a risponderne. I miei collaboratori godono della mia fiducia. Ma sanno qual è la regola».
Come giudica l'atteggiamento di Renzi, che in questi giorni difficili non si è fatto sentire? Dal Pd sta ricevendo più sostegno o più prese di distanza?
«Renzi so che è a Malta, non l'ho sentito. Se mi sarei aspettato sostegno dal Pd? Non sono adottato da nessuno, sono autonomo e sono capace di intendere e volere da solo. Mica stiamo gestendo i panettoni di Natale, mica siamo una famiglia che ci dobbiamo sedere tutti a tavola. Io sono la Regione Campania, con le mie responsabilità e i miei doveri».
Va bene però lei è il presidente di una Regione, una delle più importanti: non può non dialogare in modo aperto e diretto con il governo dal quale oltretutto la Campania deve avere finanziamenti per centinaia di milioni. Il rapporto di fiducia è essenziale: ritiene che questa vicenda l'abbia incrinato, o rischi di incrinarlo?
«È verissimo, da Roma aspettiamo una vagonata di soldi. Ma le cose non stanno come le racconta o le immagina il mondo dell'informazione, che amplifica ogni gesto: nelle istituzioni le cose vanno in un altro modo e nel rapporto fra il presidente della Regione e il governo non è cambiato nulla, assolutamente nulla. Stiamo lavorando in perfetta sintonia su problemi concreti, a cominciare da quello ambientale, il vero calvario della Campania: aspettiamo con ansia il consiglio dei ministri di domattina (oggi per chi legge, ndr) che dovrà varare il decreto legge che finalmente ci consentirà di partire con la rimozione delle ecoballe. D'accordo con Cantone abbiamo deciso di avviare le gare solo una volta ottenuta la copertura finanziaria dell'intera operazione, per evitare spezzettamenti rischiosi. Una svolta storica».
Presidente, nel Pd c'è una questione morale?
«No, non c'è una questione morale, è fuorviante e sbagliato affermare una cosa del genere. Piuttosto, e più semplicemente, nel Pd come nella tradizionale sinistra storica non c'è una superiorità morale genetica. Il Pd è una grande organizzazione di massa che vive nel corpo della società nazionale e ne condivide le contraddizioni».
Però il Pd in Campania è da rifare? Mastursi è stato responsabile organizzativo, un ruolo importante: una per tutte, ha deciso la composizione delle liste alle ultime regionali. Non vede nuove ombre su questo partito tormentato?
«Ma di che parliamo? Mastursi non è Giovanni Amendola e non esistono gli Amendola nel Pd, né in Campania nè altrove. Sono altri tempi, è un'altra realtà».
Però ci avviciniamo a nuove elezioni, stavolta comunali: che ruolo giocherà il Pd in questa partita secondo lei?
«Perché non mi fate domande sulla vita reale?»
Allora torniamo alla vicenda che la riguarda. Lei tende a sdrammatizzare ma qualche altra riflessione è utile. Qualche anno fa anche intorno a un collaboratore di Caldoro si sollevò un polverone, ma la vicenda non superò i confini mediatici regionali. Lei invece in queste ore è su tutti i giornali e i tg d'Italia. Il fatto è che lei si è costruita nel tempo un'immagine diversa e originale: a De Luca non si perdona niente, De Luca fa inevitabilmente notizia. Allora le chiediamo: è possibile che Manna, ammesso che sia vero che è un millantatore, sia stato usato? Che insomma le sia stata tesa una trappola?
«Io non credo alla trappole o ai complotti e ho rispetto per tutte le altre persone coinvolte in questa storia. Quando dico la magistratura vada avanti ho detto tutto. Voi mica pensate che non mi renda conto che in Campania stiamo facendo la rivoluzione e che la mia figura è contraddittoria rispetto a quelle del passato? Che non sappia che la mia presenza che può sembrare ruvida è diversa da quella di certi politici abituati a far finta di scontrarsi, quando invece sono pronti ad accordi trasversali? Lo percepisco sulla mia pelle il senso di questa diversità, quando torno a casa con il sangue in bocca e il cuore che scoppia per la fatica. La fatica, anche fisica, è immane e devo resistere, perché questa è la sfida, il cambiamento radicale della situazione per aiutare la povera gente di questa regione a risollevarsi. Voglio realizzare questo cambiamento di umanità e di civiltà. Non ho altre motivazioni. Perciò io sono tranquillo, mi muovo su un altro piano. Ma sono molto irritato per questa vicenda che sta distraendo l'attenzione dai problemi e dalla loro soluzione».
Ma questa fatica lei la divide con poche persone. La sua è una giunta ”leggera”, con pochi assessori, mentre per sé ha trattenuto molte deleghe. Ha scarsa fiducia nel lavoro degli altri?
«Non è vero che non condivido il lavoro. Abbiamo una squadra eccezionale, con netta prevalenza di donne. Si è parlato di una giunta finta. Ma al Bilancio abbiamo uno dei maggiori esperti di contabilità pubblica; ai Fondi europei, all'Economia e Sviluppo docenti universitari e persone di grande qualità. Poi quest'estate si è assistito al dibattito sulla mancanza di un assessore alla Cultura: ho assistito a un ”Sommese blues”, ma Maffettone non mi sembra avere niente di meno. La presenza femminile non è simbolica e poi la semplificazione è decisiva se non si vuole correre il rischio di fare clientele».
La questione Severino è ancora tutta aperta. Come pensa che si svilupperà? Il suo esito la preoccupa?
«Un proverbio spagnolo dice ”se c'è soluzione perché ti preoccupi, se non c'è perché ti preoccupi?”. Sono assolutamente fiducioso. Le obiezioni sollevate da due tribunali amministrativi e uno civile sono fortissime, a cominciare dall'eccesso di delega. Aspettiamo la Corte Costituzionale. Personalmente sono d'accordo con lo spirito della Severino ma certi suoi articoli sono demenziali. La Severino nacque per reati di grave allarme sociale, per non consentire l'accesso alle istituzioni a persone condannate anche solo in primo grado, ma per mafia, camorra, terrorismo. Non certo per l'abuso d'ufficio. L'abuso, questo sì, di delega che operò il Parlamento è ormai acclarato e riconosciuto. Così come ci si rende conto che è abnorme la violazione del principio di eguaglianza davanti alla legge, di fronte a una Severino applicabile a un sindaco e a un governatore ma non a un ministro. Purtroppo però siamo davanti a un invigliacchimento del Parlamento, che ha paura di correggere lo status quo. Vince così l'ipocrisia, che è il vero cancro della vita pubblica».
Chiudiamo con un'ultima riflessione sul caso Mastursi-Manna. Lei non si rimprovera nulla?
«Mi ripugna gettare la croce addosso agli altri. Ci sono errori che si possono fare in buona fede, e non vorrei mai toccare la dignità di altre persone. Ci sarà stato un errore a non informarsi. D'altra parte come si fa a non sbagliare, con le centinaia di leggi contraddittorie che abbiamo in Italia? Per chi lavora l'errore è dietro l'angolo. Il resto lo vedrà la magistratura, di sicuro io vado avanti con la coscienza tranquilla, i nervi saldi e il coraggio delle scelte. Bisogna scegliere e sostenere le proprie decisioni, o non cambierà mai nulla».
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