Studi nazionali ed internazionali dimostrano che la violenza contro le donne è endemica, nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali, e a tutti i ceti economici. Gli aggressori sono nella stragrande maggioranza maschi, partner o ex partner. Secondo i dati dell’OMS risalenti al 2002, la prima causa di uccisione nel mondo delle donne tra i 16 e i 44 anni è l’omicidio da parte di persone conosciute. Secondo poi il rapporto dell’OMS del 2013 (141 ricerche effettuate in 81 Paesi), la violenza contro le donne costituisce una questione strutturale globale: il 30 per cento delle donne subisce nel corso nella vita qualche forma di violenza; è stato quindi evidenziato che tali fenomeni criminali colpiscono le donne in maniera specifica nell’ambito familiare, spesso con motivazioni che poggiano su una cultura discriminatoria, che viene definita patriarcale, e attraversa tutti i Paesi del mondo. La violenza contro le donne è considerata pertanto uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.
La violenza sulle donne in Italia ci racconta di un Paese in cui, ancora oggi, le donne sono fortemente discriminate in ragione della appartenenza di genere.
A Napoli che ha visto chiusi i Cav istituzionali per circa due anni (luglio 2020 - ottobre 2021), la violenza, anche nei momenti bui della pandemia, ha fatto sentire prepotentemente la sua presenza sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Più di 200 sono state le donne accolte dalle diverse associazioni operanti in città a titolo di volontariato che si sono misurate con storie di violenza decisamente più efferate, agite da un maschile che ha mutuato dall’isolamento e dalla crisi finanziaria un senso di impunità, dal quale gli agiti violenti risultavano “scientificamente” programmati e particolarmente crudeli. Da novembre 2021 ad oggi i Cav istituzionali comunali hanno accolto 278 donne e sono stati raggiunti telefonicamente da 131 donne che chiedono informazioni sulle quali progettare i propri percorsi di fuoriuscita. Un vero esercito silenzioso che quotidianamente prova a scrivere insieme alle operatrici un nuovo modo di stare nelle relazioni, un modo che invoca il proprio diritto ad una vita libera e autodeterminata per se stesse e per i propri figli.
Molto è stato fatto, moltissimo c’è ancora da fare per contrastare questo odioso fenomeno che non si limita e non si esaurisce al solo ambito domestico. Esso trova, ahinoi, in una società maschilista ulteriori rivoli di sofferenza per le donne e per i propri figli anche nelle istituzioni. La vittimizzazione secondaria è un fenomeno che, purtroppo, accompagna costantemente le donne che decidono di uscire dalle relazioni violente; negli ultimi anni con i lavori della Commissione sul femminicidio, presieduta dalla senatrice Valeria Valente, questo tema è venuto fuori in tutta la sua drammaticità, molti i casi analizzati in cui alla violenza “privata” si è aggiunta la “violenza istituzionale” spesso dettata da mancanza di formazione e da una lente misogina nella valutazione dei fatti. Il lavoro della Commissione ha evidenziato uno dei nodi fondamentali che ostacolano un fronteggiamento efficace del problema: un sistema culturale altamente svalutante la parola delle donne, che impedisce il più delle volte una corretta valutazione del rischio che fa riportare sulle cronache... ”la vittima aveva denunciato”.
Molti sono i temi ancora da affrontare: una corretta governance del sistema antiviolenza, finanziamenti continuativi e congrui per le diverse azioni di contrasto e prevenzione del fenomeno, una massiccia opera di alfabetizzazione al rispetto dell’altro sesso per le giovani generazioni e non solo per quelle, una magistratura formata sul tema della violenza contro le donne e libera da “pregiudizi e stereotipi”.
*Sociologa - Coordinatrice Cav Comune di Napoli