Santanchè e Delmastro, scontro tra governo e toghe. Palazzo Chigi accusa i giudici: «I pm all'opposizione»

È quanto ha deciso il gip di Roma che non ha accolto la richiesta di archiviazione della Procura

Santanchè e Delmastro, scontro tra governo e toghe. Palazzo Chigi accusa i giudici: «I pm all'opposizione»
Santanchè e Delmastro, scontro tra governo e toghe. Palazzo Chigi accusa i giudici: «I pm all'opposizione»
Giovedì 6 Luglio 2023, 16:41 - Ultimo agg. 7 Luglio, 11:19
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Uno scontro frontale con la magistratura. O almeno con quella parte che sembra ambire ad incarnare l’«opposizione» in vista delle elezioni «Europee». Ad imporre la rottura del vincolo del silenzio dietro cui si era trincerato palazzo Chigi rispetto al caso di Daniela Santanchè, è la notizia dell’imputazione coatta per Andrea Delmastro. Il secondo affondo nei confronti di uno dei componenti del governo è per Giorgia Meloni non solo «inconsueto» nelle modalità, ma anche intollerabile nella forma e nel tempismo. Quindi se nei giorni scorsi ci si era limitati a far filtrare la volontà di accelerare il più possibile la riforma della Giustizia a cui si sta dedicando Carlo Nordio, questa volta Meloni sceglie di andarci giù dura e, sotto forma di «fonti», recapita ai magistrati attraverso le agenzie di stampa un messaggio che è sintetizzabile più o meno così: i giudici non provino a fare politica, l’esecutivo non si lascia intimidire e andrà avanti forte dei numeri per l’intera legislatura. 

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Una controffensiva piuttosto marcata che, inevitabilmente, riporta le opposizioni sulle barricate.

Si tratta di «toni intimidatori», dice ad esempio la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, «inaccettabili» in democrazia. Che si tratti di una reazione particolarmente «forte» lo ammettono anche i partiti che sostengono il governo. Al punto che non manca chi legge all’interno di essa un segnale a chi, nella maggioranza, ha dato voce a qualche insoddisfazione di troppo rispetto alle articolate vicende giudiziarie che si sono prese la scena in questi giorni. 

LE MOTIVAZIONI

A far traboccare il vaso è la goccia del caso Delmastro. In un processo «di parti», la prima osservazione che muove palazzo Chigi nella sua velina, non è «consueto» che «la parte pubblica chieda l’archiviazione e il giudice per le indagini preliminari imponga che si avvii il giudizio». Specie in una fase come quella attuale quando cioè, ragiona un esponente dell’esecutivo, «la vicenda politica è ormai rientrata e Cospito ha rinunciato al suo sciopero per la fame».

Un caso anomalo, sintetizzano ai piani alti del governo, ma comunque nulla che non sia già stato visto dal centrodestra. La memoria corre veloce alla «giustizia a orologeria» di berlusconiana memoria, tirato in ballo anche per la «curiosa» coincidenza delle notizie sui giornali di Santanchè indagata proprio nel giorno della sua informativa al Senato. Un’autodifesa «non proprio perfetta» che la premier però, pur con qualche dubbio, ha finito con lo sposare, includendo anche la ministra del Turismo tra gli esempi di magistratura che fa politica: quando due episodi come l’imputazione coatta e informazioni finite sui giornali «fuori legge» interessano «due esponenti di governo - il pensiero di palazzo Chigi - è lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee». 

I TEMPI

Per di più con uno strano tempismo, spiegano in Parlamento alcuni esponenti della maggioranza, che coincide con la riforma Nordio e rievoca alcuni precedenti come la riforma Mastella, un invito a comparire recapitato a mezzo stampa a Berlusconi durante un vertice internazionale a Napoli e la caduta del governo Prodi. Un concetto espresso in chiaro anche dal vicepremier e ministro degli esteri Antonio Tajani: «A qualcuno dà fastidio che si possa fare una riforma della giustizia» dice infatti su Rete 4.

«L’anonimato» scelto dal governo per esprimere le proprie posizioni, non è però apprezzato dalla minoranza, che quindi prova ad incalzare affinché Meloni metta la sua faccia al servizio delle accuse. Questo, per ora, non accade. Tuttavia poco dopo le reazioni di Schlein - seguita dai Cinquestelle, Avs e persino ai Azione, che pure ha sostenuto la riforma della giustizia («se palazzo Chigi ha elementi denunci» o «non dica fesserie», dice Enrico Costa) - a ripetere il messaggio in chiaro ci pensano i due capigruppo di Fdi, Lucio Malan e Tommaso Foti, parlando di circostanze «sospette» e di scenari che ci si augurava fossero stati superati. 
 

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