Donne, carriera a ostacoli nel mondo della ricerca. «Pesano i pregiudizi di genere»

La ricerca dell'università Cattolica su Lancet. Le donne rappresentano la metà dei laureati ma solo il 26% dei professori ordinari

Donne, carriera impossibile nel mondo della ricerca. Lo studio su Lancet: «Pesano pregiudizi di genere»
Donne, carriera impossibile nel mondo della ricerca. Lo studio su Lancet: «Pesano pregiudizi di genere»
di Graziella Melina
Mercoledì 1 Novembre 2023, 21:51 - Ultimo agg. 2 Novembre, 13:10
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Poche, pagate di meno e quasi mai ai posti di comando: anche nel mondo della ricerca la parità di genere sembra ancora un miraggio, soprattutto nelle facoltà scientifiche. Le competenze delle donne non sembrano bastare mai per ottenere il giusto riconoscimento, gli impegni familiari pesano quasi sempre sulle loro spalle, e la conciliazione lavoro-famiglia appare impossibile. Inutile dire che alla fine molte scienziate preferiscono rinunciare alla carriera accademica, e si accontentano di ruoli non di rilievo. E anche se il problema della disuguaglianza salariale e la difficoltà di accedere ai vertici del sistema accomuna tutte le donne europee, i dati che riguardano le ricercatrici italiane non fanno fare una bella figura al sistema universitario nostrano: l’Italia si colloca infatti terzultima in Europa, con solo il 17% di donne occupanti i ruoli più alti nella ricerca.

I dati

A mettere in fila i vari dati nazionali e a ribadire le diverse condizioni salariali, nella ricerca pubblicata sulla rivista The Lancet Regional Health – Europe, sono state non a caso tre donne: Stefania Boccia, ordinario di Igiene generale e applicata alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, Campus di Roma e vice direttrice scientifica della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs, Sara Farina, medico in formazione specialistica presso la Sezione di Igiene della Facoltà di Medicina e chirurgia, e Raffaella Iafrate, ordinario di Psicologia sociale alla Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica, campus di Milano, e pro-rettrice delegata del rettore alle Pari Opportunità.
La fotografia che emerge dallo studio della Cattolica è implacabile: le donne europee rappresentano circa la metà dei laureati e dei dottorati in Europa, ma abbandonano progressivamente la carriera accademica, arrivando a costituire appena il 33% della forza lavoro nel mondo della ricerca, e solo il 26% dei professori ordinari, direttori di dipartimento o di centri di ricerca.

La situazione peggiora ulteriormente nelle facoltà scientifiche, ossia le cosiddette Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics). Se infatti per le discipline umanistiche le donne occupano più del 30% delle posizioni più alte della carriera accademica, il dato scende al 22% per le scienze naturali e al 17,9% per l’ingegneria e la tecnologia.

«L’inclusione inadeguata delle donne nel mondo accademico – spiega Boccia - è causata da pregiudizi impliciti e da ostacoli legati all’equilibrio tra lavoro e vita privata che impediscono l’avanzamento verso posizioni di alto livello nel mondo accademico e nella ricerca. In sostanza, le ricercatrici devono affrontare diverse sfide per ottenere pari riconoscimento e visibilità per il loro lavoro. Spesso, infatti, nei processi di revisione tra pari e nelle decisioni editoriali si sottovalutano o si trascurano i loro contributi». 
Il riconoscimento dell’impegno femminile non è dunque affatto scontato, come dimostra del resto il divario salariale tra uomini e donne, soprattutto nel contesto privato, oppure la presenza di solo il 29,8% di nomi femminili tra gli autori di articoli scientifici, e ancora la mancanza di programmi che supportino le ricercatrici sia sul piano personale che nel raggiungimento e nel mantenimento degli obiettivi, come appunto ricoprire ruoli di leadership. 
Secondo le tre ricercatrici dell’Università Cattolica, in sostanza, la disparità di genere si fonda su pregiudizi difficili da superare. «Mentre nei Paesi del Nord Europa e in quelli dell’Est, il divario tra uomo e donna è minore, abbiamo osservato invece che soprattutto nei paesi dell’Europa meridionale – rimarca Boccia - persiste lo stereotipo secondo il quale quando una donna partorisce deve sacrificare la sua carriera per prendersi cura del bambino. Per questo motivo, prevale la convinzione che una ricercatrice non sia così ‘produttiva’ come prima del parto». Ma capita pure che siano le stesse donne a rinunciare alla carriera, soprattutto quando diventano mamme e devono badare ai figli. «A volte tendono a percepirsi come meno competitive, si sentono inconsciamente meno importanti rispetto al passato, si mettono in una condizione quasi di vittimismo. D’altra parte – ribadisce Boccia - spesso non hanno alcun sostegno per poter decidere diversamente». 

I fondi

Intanto per colmare in concreto le disparità di genere l’Unione europea ha messo in campo dei fondi grazie al programma Horizon Europe. E così ora molte università europee si stanno allineando con la realizzazione di piani di ateneo. «In particolare – sottolinea Iafrate - in Università Cattolica è stato avviato un processo di razionalizzazione e ottimizzazione delle azioni in ambito Pari Opportunità, attraverso la creazione di una Task Force di tutte le componenti accademiche, amministrative e studentesche». Sono attivi, infatti, il Gender Equality Plan Team e la relativa Unit, il tavolo 7 del Piano strategico d’Ateneo dedicato alle Pari opportunità (Po) e il Comitato Pari Opportunità (Cpo). 

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