Una persona «fuori di sé, arrabbiata», che «gesticolava con le mani» e «diceva parole in arabo», «così alterata» da indurre il gestore di un locale ad «affrettare le operazioni di chiusura». Era in queste condizioni, secondo un testimone, due ore prima del delitto Bilel Cubaa, il 28enne tunisino in carcere per l'omicidio di Yuri Urizio, 23 anni, avvenuto in zona Darsena a Milano lo scorso 13 settembre.
Il 28enne ha manifestato «una particolare aggressività - scrive il gip milanese Angela Minerva nella nuova ordinanza di custodia cautelare per omicidio volontario -, priva di ragioni specifiche e facilmente innescabile da un pretesto o un gesto giudicato scorretto o comunque non condiviso».
Nel nuovo provvedimento emesso dal giudice, in seguito alla richiesta da parte della Procura di modificare il reato di tentato omicidio in quello di omicidio volontario, dopo la morte del giovane dopo due giorni di coma, si legge che la donna ha spiegato a verbale che non conosceva nessuno dei due e ha negato di essere mai stata «aggredita, molestata, minacciata» dalla vittima e di aver mai chiesto aiuto, «nonché di essere mai stata aiutata» dal 28enne.
Stando a quanto emerso dalle indagini, condotte dalla Polizia e coordinate dal pm Luca Poniz, Bilel avrebbe iniziato a colpire la vittima a mani nude, per poi stringergli il collo «per un tempo prolungato», fino a soffocarlo. Per oltre 7 minuti, stando agli atti, lo avrebbe tenuto bloccato con «una stretta a modo di tenaglia», senza che Yuri potesse reagire. Dopo due giorni di coma all'ospedale Policlinico di Milano, il 23enne è morto: «morte encefalica - ha stabilito l'autopsia - dopo sindrome post arresto cardiocircolatorio».