Ucraina: quei lunghi abbracci tra chi fugge, chi resta e chi torna alla vita

Ucraina: quei lunghi abbracci tra chi fugge, chi resta e chi torna alla vita
di Antonio Menna
Venerdì 11 Marzo 2022, 23:31 - Ultimo agg. 13 Marzo, 09:11
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La pandemia ce li ha tolti, la guerra ce li restituisce. C’è una curiosa staffetta simbolica tra le due emergenze: il virus si combatteva con il distanziamento mentre il conflitto scatenato dall’aggressione russa all’Ucraina ridiventa corpo a corpo. Non solo tra soldati e nemici, che tornano a combattere come una volta, carri armati e fucili, molotov e assedio, ma tra persona e persona, senza insegne e senza mostrine, tra chi fugge e chi resta, perfino tra chi combatte e chi viene preso prigioniero. Così riprendiamo a stare stretti, uno accanto all’altro, in questa malattia improvvisa definita guerra. Come chi scappa dalle bombe e si ammassa nelle stazioni della metropolitana delle città ucraine: uno accanto all’altro, ma quale distanziamento! 

L’abbraccio porta calore, scalda i corpi dal grande freddo, quello dei venti siberiani e quello del terrore. Ci si mette vicini, ci si assembra con tutto il sentimento del mondo. E ancora abbracci tra le mogli che portano in salvo i figli verso la frontiera, lontano dagli scontri, verso un mondo nuovo, e i mariti che restano a combattere per la patria. Abbracci per consegnarsi una promessa o per stringere un nuovo patto. Abbracci dei bambini che spariscono nel corpo delle donne, per prendere calore o anche coraggio, o che abbracciano disperati il papà prima di vederlo sparire oltre il treno, nei fumi che si intuiscono di nuove bombe esplose.

Abbracci agli anziani, perfino cani e gatti tenuti in un abbraccio come fossero peluche, o bambini. 

Arriva dalle città dell’Ucraina dolente una carrellata di mani strette, di corpi vicini, di nuovo umanesimo, che pensavamo perduto nell’odioso distanziamento anticontagio. La pandemia sembra sparita, ora bisogna salvarsi la pelle. Chiodo schiaccia chiodo – scriveva Pavese – ma quattro chiodi fanno una croce. E chissà se tutto questo abbracciarsi riuscirà a mettere in movimento la grande forza delle persone contro la grande follia della guerra. 

In un edificio della Veteran House di Ternopil (200mila abitanti, 120 km da Leopoli), città dell’estremo lembo occidentale dell’Ucraina, risparmiata per ora dalla guerra, c’è un grande dipinto. Si vede un soldato che abbraccia una ragazza, sullo sfondo di una campagna e accanto a due quadri sacri. È una immagine simbolo della guerra, che ha sempre diviso gli innamorati, spaccato le famiglie, messo a dura prova l’amore. Sembra curioso rivederlo qui, ora, mentre proprio questa città è diventata il crocevia dei nuovi abbracci. Fino a Ternopil si spingono i profughi in fuga dalle città del Sud e dell’Est, da Mariupol e da Kiev, tutti insieme. Ma poi qui i padri si separano dai figli, i mariti lasciano le mogli. I maschi in buona saluta tornano indietro per aiutare l’esercito e le truppe di volontari nella resistenza. Resistere all’assedio. Resistere all’assalto. Ma prima l’ultimo abbraccio. Così a ridosso dei mezzi, che si popolano di bambini, donne e anziani, che attraverseranno la frontiera, avvengono gli ultimi abbracci, che sono pieni di sorrisi e dolcezza, con chi resta che tira a sé tutte le forze. Mentre le lacrime scendono solo quando i mezzi cominciano ad allontanarsi e la distanza diventa un fatto reale. 

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Le stesse scene si vedono alla stazione ferroviaria di Leopoli (700mila abitanti, 70 km dal confine polacco), ultimo crocevia prima della frontiera, dell’abbandono del Paese. La situazione è tranquilla, la guerra qui non è arrivata se non negli sguardi spaventati di chi fugge. Di nuovo abbracci tra le donne che vanno coi bambini e gli anziani e i maschi giovani che tornano indietro. Due direzioni opposte: da una parte la pace, dall’altra la guerra. 

Ma gli abbracci arrivano anche dal cuore del conflitto. Alcune coppie non si sono separate, scappano dalle bombe e vanno nei rifugi restando uniti, insieme ad anziani che non vogliono lasciare le loro case. Le vie della fuga sono piene di mani tese. A Irpin, periferia nord di Kiev, un ponte saltato, un attraversamento difficile del fiume, diventa una nuova occasione per stringersi. Un soldato ucraino prende una anziana dallo sguardo smarrito. La donna, poi, lo abbraccia con forza. Le mamme con gli abbracci proteggono i figli dal gelo, e sembrano illudersi di poterlo fare anche dai colpi di mortaio, dalle schegge delle esplosioni, dalle ferite della guerra. Come ha fatto Julija, di Bila Cerkva (210mila abitanti, regione di Kiev), che quando i missili sono arrivati si è messa in viaggio con i due figli adolescenti, di 12 e di 17 anni, abbracciati sul sedile di dietro di una utilitaria, mentre i genitori anziani e cardiopatici non sono voluti partire, con il marito Vitalij che per lavoro era in Italia e ha cominciato a correre verso la frontiera polacca. Julija con i pochi contanti riusciti a prelevare ha fatto un pieno di benzina e si è messa in viaggio verso Przemysl, 620 km di distanza, confine con la Polonia. 

Un viaggio pericoloso, oscuro, spaventoso. Dall’altra parte, lo stesso viaggio in senso contrario lo stava facendo il marito. Tra freddo, posti di blocco, esplosioni, fame e lunghe code, a un certo punto si sono incontrati e quella famiglia è diventata un solo, grande abbraccio. 

Gli abbracci della speranza, del ritorno alla vita. La stessa definizione usata da Anna Semyuk, che stretta in un giubbotto giallo ha avvolto nel suo abbraccio prima i due figli e poi un vero angelo custode, Nataliya Ableyeva. A lei, qualche giorno prima, il papà dei piccoli aveva affidato i due bambini. Una sconosciuta, a cui aveva chiesto di portare i figli oltre confine, dalla mamma, che si trovava già fuori dall’Ucraina, per salvarli. Un gesto disperato, un po’ folle, ma pieno di fiducia. E Nataliya non l’ha tradito. Varcata la frontiera, a Beregsurany, con le poche informazioni a disposizione (i passaporti e un numero di telefono) ha cercato Anna, la mamma dei piccoli, e alla fine, nei pressi di una tenda allestita in un campo profughi a ridosso del confine, ha rimesso insieme quello che la guerra di Putin aveva separato. 

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