Israele ritira le truppe da Gaza. Dalle pressioni Usa al rischio di un conflitto con l'Iran, inizia la terza fase della guerra

Un’operazione su Rafah non è ancora esclusa. Ma ora il faro è sugli ayatollah

Israele ritira le truppe da Gaza, cosa è successo? Dalle pressioni Usa al rischio di un conflitto con l'Iran
Israele ritira le truppe da Gaza, cosa è successo? Dalle pressioni Usa al rischio di un conflitto con l'Iran
di Marco Ventura
Lunedì 8 Aprile 2024, 00:07 - Ultimo agg. 9 Aprile, 07:18
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Una mossa che vuol essere astuta, sia politicamente che militarmente. Il ritiro della 98a Divisione dalla zona di Khan Yunis nella parte meridionale di Gaza, stando a fonti dell’esercito israeliano segna la fine della seconda fase della guerra e l’inizio della terza, quella dei raid mirati, e perciò non esclude ma potrebbe preparare l’attacco annunciato da Netanyahu a Rafah, l’estremità sud della Striscia in cui si sono rifugiati un milione di sfollati. Restano a nord e al centro la Brigata Nahal e parte della 401, per tenere sotto controllo il corridoio Netzarim che attraversa Gaza dall’area di Beeri, sud di Israele, alla costa dell’enclave palestinese. E permettere alle forze israeliane di tornare a colpire, impedire il rientro degli sfollati nella zona settentrionale (dove sono rimasti in 300mila) e consentire il passaggio a nord delle organizzazioni umanitarie. Dopo l’uccisione di sette volontari coi droni la scorsa settimana, l’esercito ha anche riaperto il valico di Erez e il porto di Ashdod. Il rimescolamento delle carte sul terreno è attribuito dal portavoce sulla Sicurezza nazionale Usa, John Kirby, «probabilmente a un periodo di riposo per le truppe che si trovano lì da 4 mesi e sono stanche», aggiungendo che è difficile dire che cosa questo parziale ritiro israeliano «significhi esattamente». 

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LA STRATEGIA

Ma la mossa è anche utile a Netanyahu per allentare la pressione americana e internazionale sul suo governo, sotto accusa per il numero di vittime civili e i troppi “errori” che hanno portato all’uccisione di operatori umanitari.

La scelta è stata guidata anche dalle proteste popolari in piazza: circa 100mila persone hanno manifestato a Tel Aviv hanno manifestato contro il governo e per un accordo che riporti a casa gli ostaggi. Tra gli slogan campeggiano quelli che chiedono «elezioni subito» e «Liberate gli ostaggi subito». Intanto il ministro della Difesa, Yoav Gallant, avverte che l’esercito è pronto a qualsiasi scenario si possa presentare contro l’Iran, che minaccia ritorsioni dopo l’eliminazione a Damasco dei vertici delle forze Al Quds dei pasdaran. Per Edward Luttwak, illustre politologo e stratega militare, l’Iran «non ha la capacità militare» per una rappresaglia su Israele, né contro le ambasciate israeliane. Quanto al ritiro da Gaza, gli israeliani «hanno avuto abbastanza tempo per “entrare” nel sistema di Hamas a Rafah, e contano ora di fare singole azioni su target precisi». L’esercito israeliano, spiega Luttwak, «non può funzionare tra i profughi, perché la tattica normale di Hamas è quella di mischiarsi con la folla e sparare alle spalle dei civili, avendoli davanti come scudi umani, mentre dall’altra parte non rispondono i cecchini, ma soldati che per ogni miliziano dovrebbero uccidere 5 civili e Israele sta già pagando un prezzo politico troppo alto per queste vittime collaterali». 

I PIANI

Si discute adesso se basti avere eliminato l’80 per cento del personale di Hamas «o se si debba distruggerlo tutto, per installare nella Striscia un governo retto dall’Autorità palestinese, da Fatah, per quanto debole moralmente e politicamente, e dai vecchi clan che riprenderebbero forza, mentre Hamas è screditato perché ha lanciato un attacco il 7 ottobre senza aver prima provveduto a mettere in protezione la propria gente dalla inevitabile risposta di Israele». A volere il riassetto politico della Striscia c’è pure l’Egitto, «che non ha alcun interesse all’anarchia a Gaza». In Israele, invece, il tempo che resta a Netanyahu per governare è contato. «Appena la guerra sarà finita, verrà istituita una commissione che non dovrà cercare le responsabilità nell’Intelligence, perché i capi di quella militare e dello Shin Bet, quella interna, le hanno già ammesse e si presenteranno coi dossier pronti, mentre non sono coinvolti l’esercito, che dipende dalla security, né il Mossad che opera all’estero». La commissione affronterà le responsabilità di Netanyahu come premier e lo costringerà a dimettersi, al massimo in 90 giorni. «La sua uscita di scena è inevitabile», conclude il politologo americano-romeno, ma non risolverà il problema. «Prima di tornare alle urne, gli israeliani dovranno cambiare questa legge elettorale proporzionale che consente ai micro-partiti e agli estremisti di ipotecare il governo, se c’è un premier come Netanyahu che pur di restare al potere è pronto ad allearsi con chiunque».

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