La rivolta di Hong Kong: ecco perché non è finita

Reuters, via Twitter
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di Erminia Voccia
Martedì 18 Giugno 2019, 14:00 - Ultimo agg. 16:18
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«Poiché la legge ha causato molte preoccupazioni e differenze di opinioni, non andrò avanti fino a quando queste paure e queste ansie non saranno adeguatamente affrontate», ha detto martedì 18 giugno la leader di Hong Kong Carrie Lam in conferenza stampa. Lam si scusata di nuovo per le conseguenze provocate dal disegno di legge sull'estradizione, ma non sembra intezionata a lasciare l'incarico.

L'annuncio di sabato scorso della sospensione a tempo indeterminato del controverso emendamento alla legge sull'estradizione non ha fermato i manifestanti di Hong Kong, che sono addirittura raddoppiati rispetto al 9 giugno. Domenica scorsa, 16 giugno, quasi due milioni di persone hanno occupato ancora le strade per dare vita a una manifestazione senza precedenti. I manifestanti vogliono evitare che il disegno di legge torni a essere discusso in Parlamento. Il messaggio al governo locale e a quello di Pechino è arrivato forte e chiaro: non sperate che la gente dimentichi e che la folla si plachi. I cittadini di Hong Kong non si accontentano delle scuse della leader Carrie Lam, formulate anche per iscritto, e del passo indietro del governo. Ora lo scopo è ottenere il ritiro definitivo dell'emendamento e le dimissioni della chief executive, promotrice del provvedimento e della sua approvazione in tempi rapidi. Il dietro front di sabato scorso è una sfida alla Cina di Xi Jinping, che mantiene il riserbo sull'argomento ma cerca di evitare l'imbarazzo della sconfitta appoggiando il ripensamento di Carrie Lam. Le scuse di Lam avanzate sabato dovevano servire a calmare le proreste, ma hanno finito per irritare ancora di più i cittadini di Hong Kong, che domenica sono tornati come un fiume in piena ad invadere le strade. Chi chiede con forza le dimissioni di Lam è il 22enne Joshua Wong, lo studente che nel 2014 era diventato il volto della fallita rivoluzione degli ombrelli, movimento che per 79 giorni bloccò il centro di Hong Kong. Wong è stato scarcerato lunedì 17 giugno con un mese di anticipo e appena uscito di prigione si è conquistato i microfoni e le telecamere di tutto il mondo. Il giovanissimo e carismatico Wong, finito in carecre per il suo ruolo nelle proteste, ha esortato i manifestanti ad andare avanti.
 


Il caso di Hong Kong vede schierate da una parte l'atorità di Pechino, accusata di voler minare l'autonomia dell'ex colonia britannica, dall'altra una società che non vuole fare sconti sul rispetto dei valori democratici. Le manifestazioni, dalla portata ormai storica, trovano molto spazio sui media internazionali, ma non è lo stesso nella Cina continentale. In Cina nel fine settimana l'attenzione è stata posta piuttosto sul viaggio del presidente cinese Xi Jinping in Kazakistan, avvenuto in occasione di un summit internazionale, e al suo 66esimo compleanno. La censura cinese ha provveduto a rimuovere dai social i riferimenti alle proteste. Per molti utenti di WeChat, riferisce The Diplomat, è stato impossibile inviare foto e video delle manifestazioni. Telegram, app utilizzata per facilitare le mobilitazioni, ha subito un attacco da parte della Cina che ha causato uno stop al suo funzionamento. 

Il disegno di legge sull'estradizione era stato proposto dopo l'omicidio rimasto impunito di una ragazza incinta di 20 anni consumatosi a Taiwan a febbraio dell'anno scorso.
Il fidanzato della vittima, cittadino di Hong Kong, era con lei in vacanza sull'isola e dopo averla uccisa si è rifugiato ad Hong Kong. Il ragazzo non può essere estradato a Taiwan perché manca un trattato sull'estradizione. L'emendamento alla legge, tuttavia, è visto come uno strumento che potrebbe facilitare il trasferimento in Cina di dissidenti politici malvisti da Pechino.

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