Autonomia, alzata la posta: il modello è la Spagna. Il Nord deciderà le tasse

Il rapporto dei tecnici di Calderoli: «Copiamo da Paesi Baschi e Navarra»

Autonomia, alzata la posta: il modello è la Spagna. Il Nord deciderà le tasse
Autonomia, alzata la posta: il modello è la Spagna. Il Nord deciderà le tasse
di Andrea Bassi
Mercoledì 26 Aprile 2023, 00:17 - Ultimo agg. 15:41
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Il documento, anche nel suo titolo, sembra neutro: «Autonomia differenziata e garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni - Elementi di natura comparata». Ma sin dalle prime pagine emerge una chiara scelta politica. Il modello per trasferire poteri e risorse alle Regioni autonomiste italiane, a partire da quelle più ricche del Nord come Veneto e Lombardia, sarà quello spagnolo. All’interno del quale ci sono due delle diciassette Comunità autonome che godono di maggiori prerogative, “differenziate” rispetto alle altre: i Paesi Baschi e la Navarra. Che, tra le altre cose, usufruiscono di un regime fiscale speciale, il cosiddetto «foral» che consente loro di raccogliere interamente le proprie imposte. 

Partiamo dall’inizio. Il documento che Il Messaggero ha potuto leggere, è stato predisposto dal ministero degli Affari Regionali, guidato dal leghista Roberto Calderoli, ed è stato trasmesso alla Cabina di regia, guidata dal Presidente del consiglio Giorgia Meloni, che dovrà predisporre i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, condizione preliminare per permettere alle ricche Regioni del Nord di ottenere l’agognata (da loro) autonomia. I tecnici di Calderoli, hanno inviato una serie di questionari alle ambasciate italiane presso vari Paesi che fanno parte dell’Ocse, caratterizzati da un significativo indice di decentramento di funzioni e risorse finanziarie.

Sono stati esaminati nove Paesi: Australia, Austria, Belgio, Canada, Finlandia, Germania, Regno Unito, Spagna e Svizzera. 

Prima ancora però di entrare nell’illustrazione dei vari sistemi, i tecnici di Calderoli ci tengono a sottolineare che a loro l’esperienza spagnola «sembra particolarmente interessante essenzialmente per quattro motivi». Il primo è che la Spagna non è, a differenza di Germania, Belgio e Austria, uno Stato federale, ma uno Stato unitario. Che in Spagna c’è una «decentralizzazione asimmetrica» (cioè non tutte le “Regioni” sono trattate allo stesso modo), che la Costituzione garantisce il finanziamento di servizi minimi per tutti e, infine, che le procedure di devoluzione prevedono una richiesta delle Comunità che dopo un accordo con il governo è sottoposta all’approvazione del Parlamento. Ed in effetti il modello spagnolo assomiglia molto al modello italiano. O meglio, assomiglia a quello che in Italia si sta delineando, tassello dopo tassello, da quando il dossier è passato in mano a Calderoli. 

I PUNTI CRUCIALI
Uno dei punti cruciali che emerge dalle pagine del documento, è quello del finanziamento delle funzioni che lo Stato dovrà cedere alle Regioni con l’autonomia. E quello che emerge non sembra soddisfare molto i tecnici del ministero. «In generale», scrivono, «si osserva una certa asimmetria tra l’attribuzione di funzioni di spesa e quella di entrate proprie agli enti decentrati, il che determina una situazione di dipendenza di questi ultimi dai trasferimenti dello Stato federale o centrale che», aggiungono, «viene valutata criticamente dalle organizzazioni internazionali». Proviamo a tradurre. Gli altri Stati danno pure forme di autonomia alle Regioni, ma la raccolta delle tasse e la definizione delle regole fiscali, se la tengono ben stretta. Queste funzioni quasi nessuno le cede alla periferia. Una verità che fa a cazzotti con le promesse dei referendum sull’autonomia, quella del Veneto in particolare, quando era stato prospettato che la Regione avrebbe trattenuto sul territorio il 90 per cento del gettito fiscale maturato in loco. Qui entra però in gioco il modello spagnolo. Le Comunità locali in Spagna, possono trattenere importanti quote di tributi che restano di titolarità dello Stato: il 33 per cento dell’imposta sulle persone fisiche, il 35 per cento dell’Iva, il 40 per cento delle imposte speciali su idrocarburi, tabacco, alcol e birra, tutte le imposte sul patrimonio, quelle sull’elettricità, sull’immatricolazione dei veicoli e la tassa sul gioco. 

IL PRIVILEGIO
A chi è nel regime “forale”, ossia Paesi Baschi e Navarra, è riconosciuto il pieno potere di determinare, riscuotere e gestire la totalità dei tributi nei loro territori. «Sulle imposte statali», spiega il documento, «le Comunità hanno ampia autonomia potendo sceglierne le aliquote, la base dell’imponibile e le deduzioni». È evidente che le Regioni più ricche, con un sistema simile, possono avere la possibilità di ridurre la pressione fiscale per i propri residenti, innescando una competizione fiscale tra territori dello stesso Paese che, tra l’altro, in una situazione di crisi demografica potrebbero “attrarre” lavoratori e residenti impoverendo altre Regioni. 
In Spagna per “compensare” gli squilibri tra i vari territori, sono previsti tre fondi: uno di sufficienza (per garantire la copertura del costo effettivo dei servizi essenziali), uno di solidarietà (per riequilibrare gli squilibri regionali) e uno dell’autonomia (per aumentare la qualità dei servizi). Il più importante è il secondo i cui trasferimenti, come ricorda lo stesso documento dei tecnici di Calderoli, «sono molto criticati e ritenuti potenzialmente forieri di tensioni tra “centro” e “periferia”». La promessa insomma, di un modello in cui con l’autonomia tutte le Regioni hanno da guadagnarci, appare scritta sull’acqua.

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