CITTA' DEL VATICANO - Papa Francesco ha citato Aldo Moro, Piersanti Mattarella, Alessandro Manzoni descritto come «grande italiano e cristiano» mentre premiava il presidente della Repubblica con il Premio Paolo VI, un riconoscimento internazionale per il cammino politico al servizio delle persone, dell'Europa e dell'unità della nazione. «Il popolo italiano non dimentica la sua rinuncia al meritato riposo fatta in nome del servizio richiestole dallo Stato». E ancora. «I giovani in Lei vedono un maestro».
Prima della cerimonia Bergoglio e il Capo dello Stato si sono ritagliati una mezz'ora per un incontro a tu per tu nel Palazzo Apostolico per affrontare temi nazionali e internazionali di interesse comune.
Mattarella ha destinato il premio ricevuto agli alluvionati della Romagna, in particolare alle Comunità Giovanni XXIII. «Questo è una occasione per porre in evidenza, più che il premiato, l'eredità di Paolo VI e il suo pensiero che sono stati fonti di orientamento di grande importanza per una moltitudine di persone» ha commentato Mattarella visibilmente toccato dal momento solenne.
ROMAGNA
Ai romagnoli però sono state rivolte parole di solidarietà e ammirazione anche da parte del Papa. «Oggi viene quasi automatico colpevolizzare gli altri, mentre la passione per l’insieme si affievolisce e l’impegno comune rischia di eclissarsi davanti ai bisogni dell’individuo; dove, in un clima d’incertezza, la diffidenza si trasforma facilmente in indifferenza. La responsabilità, invece, come ci mostrano in questi giorni tanti cittadini dell’Emilia Romagna, chiama ciascuno ad andare contro-corrente rispetto al clima di disfattismo e lamentela, per sentire proprie le necessità altrui e riscoprire sé stessi come parti insostituibili dell’unico tessuto sociale e umano a cui tutti apparteniamo».
Francesco per l'occasione ha preparato un discorso piuttosto articolato sulla memoria di Paolo VI che può essere interpretato come una sorta di manifesto rivolto ai politici cattolici. «Purtroppo è diffusa la tentazione dei politici di servirsi del potere anziché orientare l'azione verso il bene comune. Paolo VI sentenzio che il dovere del servizio è inerente all’autorità; e tanto maggiore è tale dovere quanto più alta è tale autorità. Eppure, sappiamo bene quanto ciò non sia facile e come la tentazione diffusa, in ogni tempo, anche nei migliori sistemi politici, sia di servirsi dell’autorità anziché di servire attraverso l’autorità. Com’è facile salire sul piedistallo e com’è difficile calarsi nel servizio degli altri!».
LA MAFIA
In un altro passaggio il Papa torna a parlare della responsabilità quale «componente essenziale del vivere comune che è l’impegno per la legalità. Essa richiede lotta ed esempio, determinazione e memoria, memoria di quanti hanno sacrificato la vita per la giustizia; penso a suo fratello Piersanti, Signor Presidente, e alle vittime della strage mafiosa di Capaci, di cui pochi giorni fa si è commemorato il trentennale. San Paolo VI notava che nelle società democratiche non mancano istituzioni, patti e statuti, ma manca tante volte l’osservanza libera ed onesta della legalità e che lì l’egoismo collettivo insorge».
Il capo dello Stato ricevendo il premio Paolo VI ha ricordati alcuni dei documenti di Montini che lo hanno formato: «Octogesima adveniens, Populorum progressio e il discorso alle Nazioni Unite - ha citato - sono stati fondamentali punti di orientamento per me e una moltitudine di persone». «Con i suoi insegnamenti - ha proseguito - ha collocato e trasmesso in una visione armonica chiara e compiuta fede, dignità umana, libertà e pace». «È stato il papa del passaggio dalla mia giovinezza all'età matura e anche il mio vescovo», ha detto il capo dello Stato ricordando gli anni in cui «ero impegnato nella gioventù dell'azione cattolica della diocesi si Roma».
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Tra i premiati delle passate edizioni: Hans Urs von Balthasar per gli studi teologici (1984), Olivier Messiaen per la musica (1988), Oscar Cullmann per l’ecumenismo (1993), Paul Ricoeur per la filosofia (2003) e la Collana “Sources Chrétiennes” per l’educazione. Nel 1997 Giovanni Paolo conferì il premio però a Jean Vanier, fondatore della comunità l'Arche, un organismo oggi messo sotto accusa dalla Conferenza dei religiosi e religiose di Francia (Corref) per le orribili prove di abusi sessuali, spirituali e psicologici della comunità L'Arche.
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