Otto marzo, è polemica sugli stupri di Hamas. Le donne ebree escluse dal corteo: «Non ci vogliono»

La ricorrenza tra celebrazioni e scioperi per ricordare che la strada della parità è ancora lunga. Ed è scontro sul corteo transfemminista: «Esclude le israeliane»

Otto marzo, è polemica sugli stupri di Hamas. Le donne ebree escluse dal corteo: «Non ci vogliono»
Otto marzo, è polemica sugli stupri di Hamas. Le donne ebree escluse dal corteo: «Non ci vogliono»
di Raffaella Troili
Venerdì 8 Marzo 2024, 00:08 - Ultimo agg. 9 Marzo, 00:01
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Non una festa, ma una giornata di battaglia e riflessione. Per fare il punto, che sia in strada, in sciopero o nei luoghi istituzionali, su quanto ancora la realtà, in tema di diritti e opportunità per le donne, sia diversa dalle attese, gli sforzi personali e i ciclici per quanto autentici proclami. Una strada in salita anche sul fronte delle violenze, sintomo di una società che tende ancora a tarpare le ali all’emancipazione femminile, che suona l’allarme rosso per i rigurgiti di potere e possesso che insanguinano i rapporti, specie ma non solo, laddove la donna è in una condizione di sottomissione economica o familiare. E che anche in termini di salari e organigrammi al vertice, mostra ancora un umiliante paradosso tra exploit femminili ed eguali remunerazioni. 
Un otto marzo, quello di oggi, anche di polemiche, in nome di un credo subdolo e strisciante che ritiene ci siano vittime di serie A e serie B. Esploso ieri alla vigilia della Giornata internazionale della donna, durante la maratona dell’associazione “Setteottobre” in cui sono state ricordate a Roma le donne israeliane vittime di violenza e si è alzato polemico un coro: «Non una di meno, dove sei?”. Da qui l’attacco della presidente dell’Unione delle comunità ebraiche Noemi Di Segni al corteo transfemminista promosso da “Non una di meno” per oggi, dove come avvenne il 25 novembre in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, le attiviste, hanno preso le distanze con un comunicato in cui dichiarano di «essere solidali con il popolo palestinese» e «reclamano l’immediato cessate il fuoco a Gaza». La piattaforma sarà portata in piazza oggi a Roma, Torino, Milano e Firenze. «Negare ciò che è accaduto alle donne israeliane il 7 marzo è antisemitismo», intima Di Segni, le fa eco la ministra Eugenia Roccella che si schiera con la Comunità e lancia la sua proposta: «Il 7 ottobre diventi il giorno contro il femminicidio di massa per ricordare appunto le tante israeliane massacrate, sequestrate, violentate da Hamas», puntualizzando che «non tutte le associazione sono dalla parte di “Non una di meno” e non tutte dimenticano la sorellanza». Laconica la replica delle attiviste: «Se vogliono partecipare, mica chiediamo il documento. Noi siamo solidali con le donne che subiscono violenze».
Una giornata dalle mille sfaccettature, come è variegata la sensibilità femminile. Guardia d’onore al femminile, quest’oggi al Quirinale, dove la Giornata Internazionale della Donna, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è dedicata alle “Donne dell’arte”, condotta da Teresa Saponangelo, aperta dalla proiezione di un video di Rai Storia dal titolo “Lavinia e Artemisia, donne pittrici del ‘600”, seguita dalle testimonianze di Etta Scollo, cantautrice, Francesca Cappelletti, Storica dell’arte e direttrice della Galleria Borghese, Helena Janeczek, scrittrice, Chiara Capobianco, street artist, e dal ministro Eugenia Roccella. Presenti le più alte cariche dello Stato. In Senato si terrà la conferenza stampa promossa da FdI per il premio “Eccellenza donna”, sempre a Palazzo Madama la commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani svolgerà una conferenza dal titolo “Le donne in un mondo del lavoro in evoluzione: verso un pianeta 50-50 nel 2030”.

Il lavoro

La conferma arriva dall’Inps, l’ultimo rapporto sui divari di genere nel mercato del lavoro e nel sistema previdenziale evidenzia come su 16,1 milioni circa di pensionati nel 2022, il 52% siano stati di genere femminile; queste però hanno percepito solo il 44% dei redditi pensionistici, ovvero 141 miliardi, con un importo medio mensile pari a 1.416, del 36% inferiore rispetto a quello maschile.

Una forbice che parla di vita vissuta: se nel 2023 gli stipendi degli italiani sono cresciuti del 3,7%, persiste un 10% di differenza tra la retribuzione delle lavoratrici e quella dei loro colleghi. Come a dire un’operaia prende circa 25.600 euro lordi l’anno, contro i 26.400 del collega uomo. La differenza è ancor più marcata tra i dirigenti, dove arriva a essere del 12,9%, mentre tra i quadri è solo del 5,9%. Anche i dati relativi all’occupazione e all’inattività femminile, vedono l’Italia indietro rispetto all’Europa. Sono oltre 10 milioni le donne occupate in Italia, le giovani e le over 55 trainano il mercato del lavoro secondo una ricerca della Fondazione studi consulenti del lavoro. Lontane dalla parità salariale e a fatica ai vertici, nonostante in Italia, negli enti locali, le donne laureate siano quasi il doppio rispetto degli uomini: 102.675 donne laureate contro 50.831 uomini. Ebbene, solo il 41% delle posizioni apicali è occupato da donne dirigenti. Uno squilibrio che sembra persistere nel tempo, senza minime inversioni di marcia. Una strada in salita, specie in alcune attività. Il divario di retribuzione e di carriera delle donne medico o dirigenti nella Sanità è un’altra nota dolente. L’ostracismo è fuori luogo visto che l’esercito delle donne nella Sanità si sia rivelato negli ultimi anni più “performante” e preparato (nel 2022 circa il 62% dei laureandi era di sesso femminile). In media si stima che una lavoratrice prende uno stipendio annuale lordo pari a circa il 20% in meno rispetto a quello di un soggetto con pari qualifiche, ma di sesso maschile. E la situazione anche qui non è migliorata, anzi. In generale, dopo la pandemia, le donne che hanno perso il lavoro sono state il doppio degli uomini. In generale, un lavoratore dipendente uomo prende uno stipendio medio tra i 38mila euro e i 40mila, contro un range tra i 35mila e 37mila delle donne. Il divario si acuisce nel settore pubblico.

La violenza

Da una parte le affermazioni sofferte, tardive, eppure brillanti, dall’altra un dato che allarma: senza sostegni seri, si dimettono 44mila neomamme ogni anno, non riuscendo a conciliare cura dei figli e lavoro. Una scelta sofferta, ma un dato di fatto che il Governo sta cercando di tamponare con misure a sostegno della famiglia. Ma finché molte non avranno scelta, sottomesse a obblighi familiari, uniche incaricate dell’accudimento di figli e anziani, il giogo del ricatto e della sottomissione non si scioglierà. Da qui l’impossibilità di denunciare violenze, ricatti, abusi. Un circolo vizioso, che vede giovani donne bloccate, umiliate, arrese. Anche un gioco di potere, all’interno delle mura domestiche: la violenza e la prevaricazione nascondono sudditanze anche economiche. E i numeri delle violenze e dei femminicidi, non indicano una inversione di rotta. Una maggiore consapevolezza non basta, come pure un moto collettivo di sdegno. Serve una svolta. Meno panchine rosse, meno targhe intitolate. Centoventitré donne uccise nel 2023, già una decina nel 2024, una ogni due giorni, sono la punta di un iceberg che va ancora scalato.

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