Meloni: «Ora do io le carte, no ai condizionamenti. Pozzolo sospeso, Mattarella non resterà inascoltato»

«L’inchiesta Verdini? Salvini estraneo. Su ambulanti e balneari serve un riordino»

Meloni: «Ora do io le carte, no ai condizionamenti. Pozzolo sospeso, Mattarella non resterà inascoltato»
Meloni: «Ora do io le carte, no ai condizionamenti. Pozzolo sospeso, Mattarella non resterà inascoltato»
di Francesco Malfetano
Venerdì 5 Gennaio 2024, 00:07 - Ultimo agg. 6 Gennaio, 14:38
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Toni più pacati del solito, qualche battuta in romanesco e giusto un paio di impuntature, soprattutto sulla questione morale nel suo partito e su quella fiscale per finanziare la prossima manovra. È scivolata via così, in più di tre ore, l’attesissima conferenza stampa di fine anno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, lunga al punto da farla prima sbottare («Sto a morì...») e poi chiedere un pausa: «Signori devo andare in bagno, non so come fare, scusatemi...Che devo fa?» Un incontro fiume ritmato da «rispetto e non sconti» chiesti in apertura dalla leader FdI, dal fuoco di fila di 42 domande, da qualche momento più personale («Fra il ruolo di premier e mia figlia Ginevra non avrei dubbi» su cosa scegliere e «Cutro è stato il momento più difficile») e dall’accusa ricorrente nelle risposte, alla sinistra come a «lobbisti, affaristi e compagnia cantante», di un qualche interesse a minare l’esecutivo. 

La polemica contro affaristi e lobbisti

«Non sono ricattabile». La premier rispolvera l’ormai celebre frase con cui rispose, a ottobre 2022, agli appunti piccati di Silvio Berlusconi durante la fase di formazione dell’esecutivo. Stavolta però resta volontariamente intangibile il destinatario del messaggio. «Penso che qualcuno in questa nazione abbia pensato di poter dare le carte - scandisce - ma in uno Stato normale non ci sono condizionamenti». E ancora: «Preferisco 100 volte andare a casa, hanno a che fare con la persona sbagliata». Un’accusa pesantissima che sembra seguire, almeno in parte, il filone inaugurato dal ministro Guido Crosetto contro la magistratura. Inutili i tentativi dei giornalisti di provare a chiarire a chi la premier si riferisse. «Chi mi conosce sa bene cosa io pensi di questioni che riguardano affaristi e compagnia cantante, non sono mai stata particolarmente comprensiva, mi pare che con questo governo affaristi, lobbisti e compagnia cantante non stiano passando un bel momento e non escludo che diversi degli attacchi che ci arrivano siano figli di questa dinamica».  

Il caso Pozzolo e il sostegno a Salvini

La risposta è connessa anche al caso Verdini (l’inchiesta sul figlio dell’ex senatore coinvolto nello scandalo degli appalti Anas) e all’ipotetica connessione con il ministro Salvini. «Bisogna attendere il lavoro della Magistratura» spiega Meloni, evidenziando come le intercettazioni su cui poggia l’inchiesta facciano riferimento al precedente governo. «Salvini non è chiamato in causa e ritengo che non debba intervenire in Aula su questa materia» conclude. Il fronte processuale però viene esaurito dalla leader di FdI solo quando annuncia la sospensione del deputato Emanuele Pozzolo dal partito: «ho chiesto che venga deferito alla commissione dei probiviri e che nelle more del giudizio sia sospeso da Fdi». Meloni ne fa una questione morale: «chiunque detenga un’arma ha il dovere legale e morale di custodire con responsabilità e serietà l’arma».  

Il «familismo» e la difesa di FdI

Al netto del caso Pozzolo, proprio la gestione del partito da parte della classe dirigente di FdI è uno dei temi che infiammano il dibattito. E così prima la premier scudiscia chi la circonda a via della Scrofa («C’è sempre qualcuno che non ti aspettavi e fa errori. Però non sono disposta a fare questa vita se le persone intorno a me non sentono la responsabilità») ma poi rimbalza l’idea di «una questione morale» interna e le accuse di «familismo». «Questa accusa comincia a stufarmi» dice alzando i toni. «Mia sorella è da 30 anni militante di Fdi» prosegue passando alla difesa di Arianna, «forse la dovevo mettere in una partecipata statale come fanno gli altri, l’ho messa a lavorare al partito mio». Per di più, aggiunge Meloni «nell’attuale legislatura ci sono due coppie di coniugi tra Pd e sinistra Italiana. E non c’è mai stata, come è giusto, un’accusa di familismo».  

La sinistra e il confronto con Schlein

Rinvigorendo un po’ la verve che la caratterizzava quando era all’opposizione, la premier attacca a testa bassa la sinistra. Dopo aver accettato la proposta di SkyTg24 per un confronto tv con Elly Schlein prima delle elezioni Europee, Meloni la schermisce a più riprese, includendo il M5S. E così sull’eventuale allentamento dei controlli sugli appalti prega «di non farmi lezioni di morale» e rispedisce al mittente le accuse di aver trasformato la Rai in Telemeloni arrivate «da una sinistra che col 18% esprimeva il 70% delle posizioni in Rai». E ancora: «Chiedono le dimissioni di un giornalista Rai ad Atreju per aver criticato una segretaria di partito. Si pretende un mondo che non esiste nella normalità delle cose. Cerchiamo di essere seri». Le parole più dure però, la premier le riserva a Giuliano Amato e Marcello Degni. Rispetto al primo che aveva parlato di «democrazia a rischio», Meloni si dice «basita», definendo «bizzarra» l’idea per cui «se vince la sinistra ha tutte le prerogative e la destra no». Per quanto riguarda il consigliere della Corte dei Conti invece punta il dito contro Schlein e Paolo Gentiloni (il cui governo l’ha nominato): «Mi ha colpito molto che non ci sia stato nessuno a sinistra a dire due parole su questo tema». Infine, l’affondo coinvolge anche Chiara Ferragni. «Nulla da dire su di lei» garantisce la premier prima di spiegare come ci sia «una questione di trasparenza sulla beneficenza, su cui forse bisogna lavorare» e, soprattutto, di meravigliarsi per la «reazione scomposta» della sinistra quando «ho detto che ha più valore chi produce un pandoro che chi lo griffa. Non l’ho citata sembrava che stessi attaccando Che Guevara».  

Le risposte al Colle sulla concorrenza

Uno degli interventi più attesi è dedicato al capitolo concorrenza e ai rilievi del Colle. Sul punto Meloni prova a stemperare («Ho letto con grande attenzione la lettera del Capo dello Stato», «l’appello non rimarrà inascoltato») e, garantendo una nuova «valutazione» da parte del governo, spiega la genesi di un intervento «necessario per uniformare il trattamento che alcuni beneficiari avevano avuto col rinnovo di 12 anni disposto nel 2020 con quello che riguarda altri che, per difficoltà dei Comuni, non ne avevano beneficiato». Idem per i balneari e la «giungla» normativa in cui mettere ordine. «Abbiamo due obiettivi - spiega - scongiurare procedura infrazione e dare sicurezze agli operatori». 

Il Mes e i rapporti con l'Unione Europea

Corposo anche il capitolo relativo all’Ue. Si parte dal Mes e da quell’approccio a pacchetto assieme al Patto di Stabilità, ora rinnegato. «Non credo il tema della mancata ratifica del Mes vada letto in relazione ai risultati del Patto di stabilità» spiega Meloni, dicendosi «soddisfatta» dalle condizioni di un accordo che però «non è quello che avrei voluto io» e che evidenzia come in Ue non ci sia «questo interesse comune ma Nazioni che valutano il loro meglio e si cerca una sintesi». 
Per quanto riguarda la mancata ratifica della modifica al Salva Stati invece, al netto della definizione come uno «strumento obsoleto» che ora ha «l’occasione per essere migliorato», la strategia resta quella vista nei giorni scorsi, e cioè attaccare il M5S: «Perché l’ex governo Conte ha sottoscritto la ratifica senza una maggioranza? Ciò ha messo l’Italia in difficoltà». In ogni caso Meloni respinge l’idea di un Paese isolato: «Dobbiamo essere più consapevoli che l’Italia non ha minori diritti delle altre Nazioni. Con la Costituzione europea, Chirac scelse di fare un referendum - sottolinea, un po’ sottovalutando il dibattito che si aprì all’epoca - Nessuno gli disse che gliela avrebbero fatto pagare. E nessuno lo dice oggi in Ue». 

Le elezioni Ue e la nuova maggioranza

Restando su Bruxelles, Meloni non scioglie la riserva rispetto ad una candidatura per il voto di giugno, pur mostrandosi interessata. «Nulla conta di più che sapere di avere il consenso» spiega, evidenziando come non sarebbe «una presa in giro» per gli elettori perché non andrebbe poi all’Europarlamento, e preoccupandosi di «non sottrarre tempo» al lavoro da premier. In ogni caso, ragiona, «una mia candidatura potrebbe portare altri leader a fare la stessa scelta potrebbe diventare un test democratico interessante». E per questo rimanda ogni annuncio a dopo un faccia a faccia con Salvini e Antonio Tajani.

Per ora, inoltre, la premier nega l’ipotesi di un rimpasto dovuto all’aver “perso” qualche ministro perché candidato alla Commissione Ue: «non lo auspico né lo voglio». Così come fa melina sul nome di Mario Draghi come possibile candidato alla presidenza. «Per chi conosce funzionamento della Commissione - spiega - è impossibile parlare oggi». E poi: «Draghi ha dichiarato di non essere disponibile». 

Infine Meloni nega anche la possibilità che l’Ecr, il partito dei conservatori Ue di cui è guida, possa sostenere una maggioranza Ursula a Strasburgo. «Non sono mai stata disponibile ad alleanze parlamentari con la sinistra» dice, rimarcando però come il sostegno alla Commissione o sui singoli dossier sia tutt’altra cosa rispetto all’essere in maggioranza. Così come sono tutt’altra cosa, nell’ottica della premier, Le Pen e Afd. Se con i tedeschi alleati di Salvini ci sono «distanze insormontabili», con la francese la situazione è diversa. «Sulla Russia ad esempio Le Pen sta facendo un ragionamento interessante». 

Il cantiere per la Manovra del 2025

Sul fronte economico Meloni da un lato garantisce l’impegno delle esecutivo nel «confermare le misure» contenute nella Manovra attraverso il taglio della spesa pubblica (e non con l’aumento della tassazione, cadendo in parziale contraddizione con quanto fatto però fino ad oggi) e la diminuzione dei tassi di interesse («che si può immaginare») - anche spiegando che non esclude una manovra correttiva anche se è «molto presto» - dall’altro glissa sul tema delle pensioni e dell’inasprimento delle regole per lasciare il lavoro. La premier sostiene invece l’idea «di ridurre la presenza dello Stato dove non è necessaria» e cioè, per ottenere 20 miliardi di entrate nel triennio 2024-2026, spingere sulle privatizzazioni di Poste («Senza ridurre il controllo pubblico») o «l’ingresso di quote minoritarie di privati in Fs». 

Il premierato e il referendum 

Per quella che lei ha definito più volte la madre di tutte le riforme, Meloni mette in campo una difesa serrata. Il premierato? «Crea un buon equilibrio e rafforza la stabilità dei governi» senza «togliere potere» al Capo dello Stato (nonostante, in realtà, al Quirinale non spetterebbe più né la scelta del premier e né dei tempi dello scioglimento per le Camere). Pur vedendo il referendum come abbastanza inevitabile, la premier allontana lo spettro della personalizzazione che fu fatale a Matteo Renzi. «Il referendum non è su di me - spiega - io sono il presente di questa nazione, ma è sul futuro di questa nazione». Incalzata sul tema premierato, Meloni dà qualche dettaglio in più su cosa ha in mente per la legge elettorale («La soglia deve esserci per forza» e «sono favorevole alle preferenza») sia per un limite al numero dei mandati: «Non lo considero necessario» dice, sottolineando come dovrebbe occuparsene il Parlamento. Aule che secondo la premier dovrebbe decidere sul terzo mandato ai governatori chiesto a gran voce dai presidenti di Regione di centrodestra e di centrosinistra.  

Le priorità per il nuovo anno

Pur rimandando a dopo il referendum sul premierato la separazione delle carriere dei magistrati («È un tema importante ma sarebbe utile non sovrapporre le due materie costituzionale» le parole meloniane), la premier indica la giustizia come una delle priorità su cui vuole intervenire quest’anno, senza però mai specificare tempi, modi e contenuti. Altre priorità indicate per il 2024 dopo una battuta su «abolire la povertà, la pace nel mondo e la ristrutturazione gratuita interno e esterno di tutti gli edifici», sono state la «rimodulazione Pnrr» e «un piano borse studio per studenti meritevoli». 

Il rammarico per Cutro e il pacchetto migranti

Il punto più amaro la conferenza stampa di Meloni lo tocca quando si parla di immigrazione. Nel difendere i risultati ottenuti fino ad oggi e l’obiettivo di una «soluzione strutturale» che passa anche per il Piano Mattei, la premier dice «che ci si aspettava di più» e di essere «pronta ad assumermene le responsabilità». Del resto, confida, «Cutro è stato il momento più difficile. 94 morti e l’accusa “è colpa tua”, sono cose che pesano».  

Il rapporto tra maternità e carriera

Infine Meloni interviene sulle polemiche nate dalle parole della senatrice FdI Lavinia Mennuni sulla possibilità che la maternità debba essere «la prima aspirazione» delle giovani, e la difficoltà di conciliare il tutto con la vita lavorativa. Prima di difendere le misure del governo sul tema, Meloni si prende ad esempio: «Posso dirle che sono forse la donna considerata tra le più affermate in Italia ma se lei mi chiedesse cosa sceglierei tra la presidenza e mia figlia Ginevra, io non avrei dubbi. Come ogni altra madre. Il concetto che non condivido né lo farò mai che un traguardo possa togliertene un altro».

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