Fondi Ue per il Sud, la strategia del governo: spendere meglio e presto

Fitto: «Pnrr e fondi Coesione regia unica. I benefici maggiori al Sud contro i divari»

Il ministro Raffaele Fitto con la premier Giorgia Meloni
Il ministro Raffaele Fitto con la premier Giorgia Meloni
di Nando Santonastaso
Venerdì 16 Febbraio 2024, 00:00 - Ultimo agg. 17 Febbraio, 06:54
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Con quello che firmeranno oggi a Gioia Tauro la premier Giorgia Meloni e il governatore della Calabria Roberto Occhiuto faranno dieci in poco meno di sette mesi. Dieci Accordi di Coesione tra Stato e Regioni, il nuovo strumento di pianificazione delle risorse nazionali per la Coesione relative al ciclo di programmazione 2021-27, di cui la parte prevalente è costituita dall’Fsc, il Fondo per lo sviluppo e la coesione destinato per l’80% alle regioni meridionali.

Nel Mezzogiorno la Calabria è la seconda dopo l’Abruzzo ma con un importo “concordato” con il governo centrale di assoluto rilievo, 2,2 miliardi dell’Fsc nei quali, oltre agli interventi in materia di infrastrutture, gestione idrica, beni culturali, ambiente e dissesto idrogeologico, sono compresi anche i 300 milioni da destinare alla realizzazione del Ponte sullo Stretto (soldi, questi ultimi, riutilizzabili per altre finalità nel caso in cui il progetto di collegamento stabile tra Calabria e Sicilia dovesse saltare).

Gli Accordi, peraltro, diventeranno ben presto undici perché la trattativa preliminare tra Palazzo Chigi e la Basilicata è ormai conclusa e la firma tra la premier e il governatore Vito Bardi dovrebbe arrivare nei prossimi giorni, così come l’intesa con il Molise. Non c’è ancora la firma per la Sicilia, sebbene l’intesa politica con il governatore Renato Schifani sia stata raggiunta giacché quattro giorni fa la premier lo ha annunciato, mentre per la Sardegna i tempi slitteranno inevitabilmente a dopo il voto regionale previsto per il 25 febbraio prossimo. In ogni caso al momento è proprio al Sud, a partire da Campania e Puglia, che si registrano le incertezze maggiori, aggravate dal fatto che la quota maggiore di risorse del Fondo sviluppo e coesione è destinata, come detto, proprio a quest’area. Finora infatti i “patti”, introdotti dalla Legge Fitto (come ormai viene chiamato il Decreto Sud promosso e difeso a spada tratta dal ministro del Pnrr, del Sud, delle Politiche di Coesione e degli Affari europei) sono stati sottoscritti soprattutto dalle Regioni del Nord e del Centro, quasi tutte a maggioranza di centrodestra. E cioè Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Marche e Abruzzo. 

Il nuovo strumento, secondo quanto prevede la legge entrata in vigore a fine anno, punta a recuperare celerità e certezza nella spesa da parte delle Regioni e a restituire al Mezzogiorno nel suo complesso ben altra credibilità sull’utilizzo delle risorse della Coesione. Lo ha ribadito ieri lo stesso ministro Fitto, confermando che Coesione e Pnrr avranno un’integrazione pressoché completa e un unico coordinamento a Palazzo Chigi: «In passato – ha detto – non abbiamo mai brillato per rapidità e capacità ed efficacia di spesa sulle risorse europee: l’obiettivo è evitare che queste risorse vadano in una direzione opposta rispetto a quelle del Pnrr, e quindi di rendere organica la visione dei due piani visto che parliamo di 43 miliardi di risorse europee. Poi vogliamo far sì che a beneficiarne possa essere soprattutto il Mezzogiorno per ridurre il gap infrastrutturale».

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Ma la riforma del Fondo sviluppo e coesione è solo una tappa di un percorso più ampio che, come Fitto ha annunciato ieri intervenendo al convegno di Italian Investment Council, prevede per marzo un decreto-legge «che predisporrà una nuova politica sul fronte delle risorse europee». In sostanza, ha spiegato, il decreto di «attuazione della revisione del Pnrr da una parte punta ad evitare che le risorse vadano in direzione opposta al Piano e dall’altra a far sì che siano utilizzate anche per ridurre il gap infrastrutturale tra Regioni. Siamo nella fase della messa a terra del Pnrr che rappresenta un’occasione fondamentale per creare le condizioni per intercettare la crescita e accompagnare il calo del debito».

La firma dell’Accordo di Coesione, oltre tutto, è anche il presupposto per sbloccare le risorse dell’Fsc che servono a cofinanziare i progetti dei fondi europei (Fesr e Fse). È uno dei tasti più dolenti della gestione delle risorse della Coesione in Italia e non riguarda esclusivamente le Regioni meridionali (non tutte almeno) ma anche quasi tutti i ministeri, come Fitto ha più volte sottolineato. Di sicuro, senza questa quota le amministrazioni regionali hanno temporeggiato nel pubblicare i bandi della programmazione 2021-2027: un ritardo non trascurabile, ma non si può nemmeno dimenticare che solo il 31 dicembre scorso è scaduto il termine ultimo per spendere le risorse del ciclo precedente, il 2014-2020, con i tre anni aggiuntivi per le certificazioni riconosciuti dall’Ue. 

Si conoscerà solo a metà anno se tutte le risorse assegnate all’Italia sono state effettivamente spese e rendicontate, senza rischiare, cioè, la restituzione a Bruxelles: finora, in tutti i cicli precedenti, sono stati i progetti-sponda a salvare chi non era riuscito a farcela nelle scadenze previste ma per quest’ultima programmazione le cose non potevano andare nella stessa direzione alla luce dei vincoli e dei paletti imposti dall’Europa. La sensazione però, e forse anche più di questa, è che nonostante i fondi europei e quelli della Coesione, peraltro non tutti utilizzati, il divario Nord-Sud è rimasto grande, forse appena ridotto rispetto al recente passato ma di sicuro ancora troppo evidente per poter parlare di svolta. La riforma dell’Fsc e i fondi del Pnrr, da questo punto di vista, sembrano l’ennesima ultima spiaggia.