La scuola secondaria di primo grado arranca. Il report della Fondazione Agnelli parla chiaro: gli apprendimenti non sono soddisfacenti, le disuguaglianze crescono, i divari territoriali sono ancora evidenti, la didattica non si rinnova. Grazie a elaborazioni sui dati Invalsi del 2019 (non condizionati quindi da Covid e Dad), il Rapporto 2021 offre un quadro ancora più nitido: se al termine della primaria gli alunni di diverse regioni mostrano preparazioni abbastanza simili, dopo i tre anni di media il Sud resta indietro rispetto al Nord: Campania, Abruzzo, Molise e Puglia registrano 17 punti in meno, mentre Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia meno 27 punti. I divari territoriali, che la primaria riesce a contenere, nella scuola media esplodono più che in passato, quindi. Emergono poi anche divari di apprendimento tra studenti di origine straniera e quelli con genitori italiani, e tra ragazze indietro rispetto ai ragazzi in matematica e scienza. Non va meglio per i docenti: anziani, più precari e poco valorizzati. Da quando è partita l’analisi di questo ordine scolastico dieci anni fa, non si evidenziano miglioramenti, e il direttore Andrea Gavosto lancia una sfida: «Nei prossimi mesi, se la pandemia darà tregua, sarà necessario riportare la secondaria di primo grado al centro dell’attenzione pubblica per farle ritrovare una missione che garantisca efficacia ed equità: consentire a tutti gli studenti di acquisire apprendimenti di qualità».
A distanza di dieci anni, la qualità degli apprendimenti degli allievi delle medie resta critica, inferiore non solo a gran parte degli altri Paesi avanzati, ma anche ai livelli che ci si poteva attendere sulla base dei risultati alla primaria. Il Rapporto 2021 segnala, a esempio, come nelle ultime rilevazioni internazionali TIMSS (matematica e scienze) gli apprendimenti in matematica degli studenti italiani siano sempre ampiamente sopra la media internazionale in quarta primaria, ma in terza media scendano decisamente al di sotto. Differenze che evidenziano disuguaglianze sociali e divari territoriali, con effetti negativi sugli apprendimenti. «Le disuguaglianze dovute all’origine socio-culturale, misurate in base al titolo di studio dei genitori sono ben visibili già alla scuola primaria, con una differenza in media di 26 punti tra uno studente figlio di laureati e uno studente i cui genitori hanno la licenza elementare. Ma poi deflagrano alla scuola media, arrivando fino a 46 punti, che equivalgono, alla fine del ciclo, a una differenza di quasi tre anni di scuola» sottolinea Barbara Romano curatrice del Rapporto per la prima volta in formato interamente digitale (scuolamedia.fondazioneagnelli.it).
Le difficoltà degli studenti vanno di pari passo con quelle dei loro docenti, con molte criticità presenti già dieci anni fa, confermate o aggravate. Nell’anno scolastico 2020-21 i docenti della secondaria di primo grado (a tempo indeterminato e determinato) erano 202mila, circa il 13 per cento in più del 2011, ma il numero di docenti di ruolo è rimasto praticamente invariato: 144mila nel 2011 e 142mila l’anno scorso. L’incremento dei docenti è quindi solo in quelli precari: gli incarichi annuali o fine al termine delle attività didattiche erano circa 35mila (19 per cento) nel 2011 e l’anno scorso quasi 60mila (30 per cento), con il boom tra docenti di sostegno, precari al 60 per cento del totale. Non si è verificato neanche il ringiovanimento atteso: l’età media è di poco meno di 52 anni, un docente su sei ha 60 anni e oltre, e quelli sotto i 30 anni sono appena uno su 100. I docenti della scuola media, inoltre, sono più soggetti a cambi continui di sede: da un anno all’altro soltanto il 67 per cento dei docenti rimane nella stessa scuola (83 per cento nella primaria, 75 per cento nelle superiori) con le prevedibili conseguenze negative per la qualità didattica.