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Vaticano, muore il prete del mistero: trenta casse di opere d'arte nascoste nella cupola di San Pietro. Chi era don Michele Basso

Sculture, reperti archeologici e dipinti: 30 bauli di cui non si conosce l'origine del contenuto

Vaticano, muore il prete del mistero: trenta casse di opere d'arte nascoste nella cupola di San Pietro. Chi era don Michele Basso
Vaticano, muore il prete del mistero: trenta casse di opere d'arte nascoste nella cupola di San Pietro. Chi era don Michele Basso
di Franca Giansoldati
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 8 Gennaio 2023, 00:35 - Ultimo agg. : 9 Gennaio, 13:40
5 Minuti di Lettura

CITTÀ DEL VATICANO Lo hanno ritrovato l’altra sera alcuni prelati, insospettiti perché per tutto il giorno non aveva risposto al telefono. Era riverso sul letto, privo di vita, in pigiama, con i piedi a penzoloni e, ad un primo sguardo, sembrava forse intento ad alzarsi. Monsignor Michele Basso, anziano canonico di San Pietro, è morto all’improvviso nel suo appartamento a ridosso della basilica vaticana, presumibilmente colpito da un attacco cardiaco. Da tempo accusava malesseri e acciacchi dovuti all’età avanzata.

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L’uscita di scena di questo singolare collezionista d’arte trascina con sé nella tomba i misteri legati a un incredibile e favoloso giacimento di opere di sua proprietà. Decine e decine di pezzi antichi sui quali pesano forti sospetti, inchieste interne e naturalmente silenziosi imbarazzi da parte delle autorità vaticane perché ad oggi non si è mai saputo l’origine di quei lasciti. Il cardinale Mauro Gambetti, francescano, neo arciprete della basilica da poco più di un anno, eredita una gatta da pelare che prima di lui aveva tentato di gestire il suo predecessore, il cardinale Angelo Comastri, pensionato velocemente da Francesco dopo una serie di pasticci amministrativi.


IL TESORO
La favolosa collezione Basso era stata impacchettata e messa al sicuro all’interno di una trentina di casse ignifughe collocate in un luogo super sicuro. Vennero sigillate con l’autorizzazione della Segreteria di Stato e sistemate in un locale sotto la Cupola. Dentro si contano una settantina di pezzi tra materiale archeologico, statue in marmo e di legno, dipinti su tela, tavole incise su rame e schizzi su carta.

Probabilmente il reperto più scottante tra tutti è una meravigliosa copia risalente agli inizi del Novecento del famosissimo Cratere di Eufronio, il cui originale etrusco è conservato nel Museo di Villa Giulia. Il Cratere dopo che venne trafugato dai tombaroli nel 1971, esportato illegalmente negli Usa e acquistato dal Metropolitan di New York, era stato al centro di un braccio di ferro diplomatico con l’Italia.

La copia nelle mani del Vaticano rischia di rimettere tutto in discussione perché confuterebbe la data del rinvenimento dell’originale che il Metropolitan ha dovuto restituire. Se il vero Cratere è stato ritrovato solo nel 1971 in uno scavo clandestino vicino a Cerveteri, come è possibile che in Vaticano vi sia una copia fatta alla fine del Novecento? Un giallo nel giallo che dovrà essere prima o poi essere sbrogliato dalla Segreteria di Stato. Il tesoretto chiuso a chiave nelle voluminose casse verdi e di diverse dimensioni era stato visionato a suo tempo dal Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin. Poi la questione era stata messa sotto silenzio mentre monsignor Basso continuava a ripetere, a chi gli chiedeva lumi sulla provenienza di quel ben di Dio, che tutto era regolare.

Raccontava che era riuscito ad accumularlo con dedizione a partire dagli inizi degli anni Novanta ma già attorno agli anni Duemila quelle opere gli avevano dato grattacapi di natura legale. In quel periodo, infatti, era finito al centro di una inchiesta della Procura di Roma poi archiviata e finita nel nulla. Da allora ciclicamente, in modo discreto, in Vaticano si è cercato di trovare il bandolo alla matassa e capire l’origine di quel giacimento. Nel frattempo, considerato il valore commerciale, si era provveduto a fare una specie di inventario e stoccarlo senza fare troppa pubblicità in uno degli ambienti meno accessibili della basilica. Se quando era in vita Basso nessuno voleva affrontare l’argomento, a maggior ragione adesso che il prelato non c’è più. Le domande restano tutte sul tappeto.

 
I DUBBI
Quei beni facevano parte di collezioni private ereditate da Basso? Erano regolari acquisti fatti nel tempo, o ancora, lasciti di conventi, istituti religiosi, regali ricevuti da benefattori o da beni ecclesiastici mai catalogati? Esistono tele della scuola di Mattia Preti, bozzetti di Pietro da Cortona, tavole lignee del Guercino, di Golzius, di Pasqualotto, oltre che sculture lignee del Seicento e persino una scultura in marmo bianca ispirata ai Prigioni di Michelangelo. Tele autentiche mescolate però anche a diversi falsi, realizzati da falsari molto abili che operavano a Roma. Tra gli oggetti anche diverse copie di vasi etruschi, e romani riprodotti talmente bene da sembrare autentici compresa la famosa copia del Vaso di Eufronio del valore commerciale di 15 mila euro. A Roma verso la fine dell’Ottocento era quasi una moda quella di riprodurre manufatti romani o etruschi in ogni piccolo particolare. Si trattava di una abilità di alcuni maestri artigiani che ha dato vita a falsi talmente straordinari da avere anch’essi un mercato internazionale fiorente.

Due anni fa Papa Francesco aveva dato disposizioni di avviare una ispezione interna sulla gestione della Fabbrica di San Pietro affidandola ad un ecclesiastico di sua stretta fiducia. Il canonico don Michele Basso interpellato sui quadri, al Messaggero, raccontava: «Io ho donato tutto alla Fabbrica di San Pietro. Ora non sono più il proprietario. Non ne so più niente». Ma come ha fatto ad accumulare questo tesoro? «È come ritrovarsi con tante scarpe nell’armadio. Alcune sono state comprate e altre sono state regalate».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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