Lo sciopero alla giapponese

Lo sciopero alla giapponese
di Federico Monga
Martedì 8 Maggio 2018, 09:40
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In Italia di scioperi ne son piene le fosse: bianco, selvaggio, a scacchiera, a singhiozzo, parziale, generale, dello straordinario. D’altro canto, un po’ di fantasia diventa indispensabile se le proteste sul luogo di lavoro arrivano, con una particolare predisposizione nel ramo trasporti pubblici, a una media di due al giorno. Nel Paese di eroi, santi e scioperanti nessuno però ha mai avuto l’idea partorita in questi giorni dai dipendenti di una grande compagnia di autobus giapponese: lo sciopero gentile.

I lavoratori della Ryobi Group, minacciati dall’ingresso sul mercato di un concorrente low cost , hanno chiesto garanzie ai manager. Non avendo ottenuto una risposta, hanno deciso di scioperare ma continuando a stare a bordo e non facendo pagare la corsa ai cittadini. Una mossa rivoluzionaria: si infligge un doppio danno all’azienda che continua a sostenere i costi di gestione senza incassare nulla e si ottiene un sostegno a furor di popolo.

La domanda ora è: avrebbe lo stesso successo in Italia? Il giubilo dei passeggeri sarebbe scontato e contagioso, anche se dal Giappone, la democrazia con il più basso tasso di sciopero al mondo, preferiremmo importare, anche a pagamento, la puntualità.
Sul danno ai conti delle aziende di trasporto invece ci permettiamo di avere un dubbio grosso quanto un pullman: la media di chi viaggia a sbafo è del 20%, con punte del 33 a Roma e del 40 a Napoli. Il quotidiano sciopero del biglietto a macchia di leopardo italiano.
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