La sedia di un grande Mondo antico

La sedia di un grande Mondo antico
di Federico Monga
Mercoledì 4 Aprile 2018, 17:56
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Una sedia, una tovaglia a scacchi (bianca e granata) da osteria, una forma di pane casereccio, un salame della Bassa Padana, una bottiglia di Barbera rossa come il sangue. Ce lo immaginiamo così il «Mondo», oggi che non c'è più, nel pantheon del calcio dai valori antichi a ragionare di pallone, musica e libri. Con quel baffo alla D'Artagnan. Irriverente e ostinato da calciatore, quando giocava all'ala destra e faceva di tutto per farsi espellere perché la domenica dopo doveva andare al concerto degli Stones. Ostinato e irriverente da allenatore, come quella sera ad Amsterdam, quando alzò una sedia contro l'arbitro, colpevole di non aver assegnato un rigore netto al suo Torino, nella finale di Coppa Uefa con l'Ajax. Non c'era il Var a quei tempi. E viene da dire: meno male. Perché a noi moschettieri, che amiamo più provare a vincere che vincere a tutti i costi, non avrebbe regalato una delle sue parabole ribelli: «Quella sedia è il simbolo di chi non ci sta e reagisce con i mezzi che ha a disposizione. Perché una sedia non è un fucile, è un'arma da osteria». Quando decise di smettere con i professionisti, Emiliano Mondonico andò ad allenare gli ultimi: ex alcolisti, ex tossicodipendenti fino alla nazionale dei calciatori disoccupati. Sempre con la stessa determinazione da indiano del tremendismo granata, pronto a sfidare «i cowboy bianconeri», convinto che «prima o poi gli indiani avrebbero vinto la battaglia». Il 22 aprile, il «Mondo», che gli innamorati del Napoli non hanno potuto apprezzare nell'unica sfortunata stagione azzurra, vigilerà dall'alto della sua sedia sul saloon bianconero.
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