La prima volta di Vicedomini:
«Quello scatto rubato
con Clinton e Kennedy»

La prima volta di Vicedomini: «Quello scatto rubato con Clinton e Kennedy»
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 14 Dicembre 2019, 18:00 - Ultimo agg. 6 Gennaio, 11:56
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La prima volta che Pascal Vicedomini comprese che il suo impegno sarebbe potuto andare ben oltre lo sport, fu quando - poco meno che ventenne - Adriano Panatta e Paolo Bertolucci gli proposero di lavorare con loro. Piuttosto bravo a giocare a tennis, Pascal - nato a Nocera Inferiore, da mamma siciliana e papà di Angri - si era ben piazzato in diverse competizioni. Ma a colpire i due campioni italiani non era stato tanto il talento sui campi di terra rossa, quanto le sue capacità di organizzatore e comunicatore. Al punto che lo convinsero a lasciare Napoli e a trasferirsi a Roma, dove avrebbe fatto parte del loro team.

Giovane promettente.
«Sono sempre stato piuttosto intraprendente. Mia madre mi raccontava spesso di quando, a tre anni, sulla spiaggia di Vietri, mi piazzavo sotto l'ombrellone di sconosciuti e cominciavo a tenere banco. Con la parlantina che ti ritrovi, da grande diventerai ambasciatore mi diceva. È il mestiere adatto a te».

Lei, invece, che cosa avrebbe voluto fare da grande?
«Sapevo che il mio futuro sarebbe stato nel mondo della comunicazione. Mi piaceva il giornalismo, ero intuitivo e sempre a caccia di notizie».

A proposito di giornalismo, come è cominciata?
«Con Gianni Minà, il mio idolo da quando ero bambino. Ci conoscemmo a Roma, in occasione di una serata che avevo organizzato per Sting. Era il 1986. Quell'evento lo colpì tanto da chiedermi di seguire i Mondiali di calcio in Messico». 

Ovviamente, accettò.
«Feci le valige e partii. Non avevo neanche il contratto: Minà mi mandava in onda lo stesso, conduceva Mundialissima Show, erano gli anni di Maradona, Bearzot...».

Da Panatta a Minà.
«Devo molto a entrambi. Anche se Adriano è stato il primo a credere in me».

Per la sua abilità da tennista?
«Disputavo qualificazioni anche in tornei importanti e contemporaneamente, per tirare su qualche soldo, promuovevo le racchette Snauwaert e le scarpe Converse. Fu così che Panatta mi disse Sei bravo a giocare, ma non diventerai mai un campione, mentre nelle pubbliche relazioni sei fantastico. Cambia strada e vieni con me». 

Quindi?
«Cominciai a organizzare le esibizioni sue e di Paolo Bertolucci, lavoravo e mi divertivo. Facevo anche lo sparring partner di Ilie Nstase e Guillermo Vilas. A Capri, poi, mi capitò pure di giocare con Dustin Hoffman».

Allora, è stato lui a portarla nel mondo dello spettacolo.
«No, è stato Edoardo Bennato».

Che c'entra Bennato con i divi di Hollywood?
«Lo conobbi a Ischia, era il 1982, sempre con Panatta. Edoardo intuì la mia passione per quel mondo e cominciò a coinvolgermi in quello che faceva. Mi portò a Fantastico e mi presentò un po' di persone, alla fine mi reinventai organizzatore di eventi prima e dopo i concerti».

Tennista, organizzatore di eventi, comunicatore, giornalista...
«Il giornalismo l'ho sempre amato. Ricordo ancora la prima volta che nel '92, inviato di Rai Uno, andai a Washington per promuovere il film JFK con Kevin Costner. Mi invitarono a un evento al quale sapevo che avrebbe partecipato Bill Clinton».

Serata importante.
«Un galà organizzato dalla Niaf, l'associazione che promuove l'Italia negli Usa. Mi procurai una vecchia copia del Radiocorriere Tv, che in copertina ritraeva John Kennedy. Pensai che sarebbe stato bello fotografare Clinton con quel giornale in mano».

Mission impossible.
«Era quello che pensavo anche io. In ogni caso, mi avviai al ricevimento portando con me la rivista. Arrivato alla cena, intravidi il presidente: non so neanche come, ma riuscii a eludere una sorveglianza da paura e mi ritrovai a pochi metri da lui. A quel punto, iniziai a sventolare il Radiocorriere con il volto di Jfk e urlai Presidente, can I take a picture?».

Grande azzardo.
«In pochi istanti, mi ritrovai circondato da guardie del corpo pronte a buttarmi fuori, ma fu lui a fermarli e a farsi portare il giornale per scattare la foto».

Bel colpo.
«Quasi come quando Luca di Montezemolo mi volle nel comitato organizzatore di Italia '90: il primo incarico fu quello di rappresentarlo alle Olimpiadi di Seul nel 1988».

Montezemolo?
«Le relazioni contano, e in quello sono sempre stato bravo. Luca l'avevo intervistato a Capri, la mia isola, per la rivista di tennis Matchball; e poi lo conobbi meglio una sera, con Minà, Bennato e Gino Paoli. Alla fine mi volle a lavorare con lui».

Capri, la mia isola.
«Se non l'avessi amata tanto non mi sarebbe venuto neanche in mente di dedicarle un festival».

Capri-Hollywood.
«La prima volta che ci ho pensato avevo 33 anni, ero in vacanza lì, vedevo arrivare attori e artisti da tutto il mondo. Si accese la lampadina e mi misi al lavoro. Il primo divo italiano a parteciparvi fu Raul Bova, e venne pure Matthew Modine - prima star del festival».

Quante prime.
«Quando funzionano, diventano seriali».
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