Lo scultore e la sciantosa, storia di amore e morte nella Posillipo di inizio '900

La vita tormentata e tragica dell'artista Cifariello

L'omicidio su "La tribuna illustrata"
L'omicidio su "La tribuna illustrata"
di Vittorio Del Tufo
Domenica 19 Novembre 2023, 10:57
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«Morta l'adoro più di prima» (Filippo Cifariello).

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Era l'epoca dei café-chantant, simbolo della Belle Époque napoletana. Dal Salone Margherita al mitico Circo delle Varietà di via Chiatamone, che sarebbe poi diventato sede de Il Mattino, Armand d'Ary e le altre sciantose facevano impazzire Napoli, sulle note di brani celebri come A frangesa. Io sòngo bona ma so''ntussecosa. E ntussecóse lo erano per davvero, le dive e divette del café-chantant. Maria Francesca De Browne, in arte Blanche De Mercy, come chanteuse aveva fatto fremere di desiderio le platee di mezza Europa. Suo marito, il tormentato e irrequieto Filippo Cifariello, scultore molto noto in città e contemporaneo di Vincenzo Gemito, perse letteralmente la testa per lei. Fu un amore tossico, malato, divorato sin dall'inizio dal demone della gelosia. Finì con un femminicidio, un bagno di sangue che scosse la città. Quando lui la uccise, con cinque colpi di rivoltella, nella stanza numero 9 della pensione Mascotte di via Posillipo, le sue prime parole, prima ancora che la polizia venisse ad arrestarlo, furono: Maria, ti amo! Ora che sei morta ti amo più di prima.

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Ci provava, Filippo Cifariello, a tenere lontani i demoni. Ci provava tutte le volte che Maria gli appariva fredda, distaccata, o addirittura sprezzante. Ma la sua mente era alterata, il suo equilibrio instabile. Lo scultore che diventò uno spietato assassino per gelosia morì suicida, tirandosi un colpo in testa nella sua casa del Vomero molti anni dopo quell'uxoricidio dal quale pure era uscito assolto (con una sentenza che fece scalpore, grazie a un brillante avvocato che si chiamava come l'attuale sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi).
Lo scultore e la sciantosa si erano conosciuti a Roma, nel 1890.

Lui originario di Molfetta, brillante, attraente, il baffo all'insù, già molto affermato, reduce dall'esposizione universale di Parigi del 1889, in tasca un importante onorificenza del re Umberto I: l'Ordine della corona d'Italia. Esponente del verismo napoletano, frequentava artisti del calibro di Vincenzo Gemito, Achille D'Orsi, Gioacchino Toma. Lei una francese di Lione, semplicemente stupenda, il volto dolcissimo, il corpo armonioso. Quando Filippo le dichiarò il suo amore lo squadrò dalla testa ai piedi: «Sei immensamente ridicolo». Si sposarono quattro anni dopo.

Non fu un matrimonio felice. Vittorio Paliotti, che ai grandi e spesso sventurati «amori napoletani» ha dedicato un libro prezioso, raccontò di come il tarlo della gelosia si fosse impadronito sin dall'inizio della mente di Cifariello. Lei, vedendolo irrequieto, fragile, sempre sull'orlo di un esaurimento nervoso, aveva accettato, a malincuore, di mettere da parte la carriera, rifiutando ingaggi e tournée. Lui le versava ogni mese un assegno di duecento lire, che a quei tempi erano una cifra altissima. Lavorava anche di notte per poter colmare la moglie di gioielli, pellicce, abiti lussuosi. Ma questo non bastò né a sedare la sua gelosia né a placare l'astio che la donna aveva sviluppato nei suoi confronti.

Maria lo tacciava di avarizia: «I miei ammiratori mi regalavano ben altro. Tu sei un gretto, un pezzente, un piccolo uomo». E lui, inginocchiato ai suoi piedi: «Maria, lavorerò ancora di più, guadagnerò altri soldi, io ti adoro».
Ai primi del 900 la coppia si trasferì in una piccola località della Baviera, dove lui era stato chiamato a dirigere una fabbrica di oggetti d'arte. Volarono piatti, a quanto pare non solo metaforicamente. Litigi e furibonde scenate. Lunghe lettere di Maria alla madre rimasta a Napoli: «Per ascoltare i consigli della zia Nanà sono dovuta restare vicino a questo piccolo e sudicio merlo».
Il piccolo merlo non si diede pace, e quando la moglie partì per una tournée in America la gelosia si trasformò in ossessione e l'ossessione in un contratto stipulato con un'agenzia investigativa americana, alla quale lo scultore affidò l'incarico di spiare la consorte. Quando quest'ultima se ne accorse volarono altri insulti ma anche promesse di rappacificazione, e così tra alti e bassi, più bassi che alti, si arrivò alla fatidica data del 12 giugno 1905. Quel giorno era prevista l'inaugurazione di un grande monumento equestre intitolato a re Umberto I e commissionato a Cifariello dal Comune del capoluogo pugliese.
E quel giorno Cifariello ebbe la sventurata idea di presentare a Blanche De Mercy l'avvocato Leonardo Soria, assessore comunale, con il quale la chanteuse immediatamente simpatizzò. La simpatia divenne presto qualcosa di più profondo, al punto che l'intraprendente avvocato non esitò a trasferirsi a Napoli e affittare una garçonnière per incontrare clandestinamente la signora Cifariello. I due non fecero nulla per tenere segreta la relazione; anzi, di lì a qualche giorno, lo scultore ricevette una lettera di tale avvocato Gregoraci, il quale gli comunicava di aver ricevuto mandato «dalla signora Maria De Browne, nome d'arte Banche De Mercy», di iniziare le pratiche per la separazione legale. Apriti cielo. Raccontano le cronache che prima di sprofondare nella disperazione Cifariello provò a ripiegare su una soluzione di compromesso, accettando di allontanarsi, ma solo temporaneamente, dalla donna amata. Purtroppo la lontananza non sistemò un bel niente, e quando i coniugi deliberarono di rivedersi, a Posillipo, per un ultimo chiarimento, la situazione appariva già fortemente compromessa.

Gli eventi accelerano. 10 agosto 1905, ore 12. Cifariello arriva alla pensione Mascotte, oggi villa Martinelli. Tenta di riconciliarsi con la donna amata, ma l'impresa appare sin dall'inizio disperata. Bevono una coppa di champagne, poi lui prova a calare un ultimo asso: le porge un assegno di diecimila euro. «Ma devi restare con me». La risposta di Maria è sprezzante: «Sai quanti maschi sarebbero disposti a pagare qualsiasi cifra per una notte d'amore con me? Uno mi ha dato 3.000 lire senza possedermi». Poi lei gli annuncia che intende tornare a Roma. È l'epilogo. Lui grida, lei impugna un piccola pistola e gliela punta contro. Lui prende in fretta la sua rivoltella da una valigia, spara a ripetizione e l'ammazza. Un colpo in faccia, un altro in petto. Poi tenta di suicidarsi lanciandosi dal balcone della camera della pensione, ma viene bloccato da alcuni inservienti, richiamati dal rumore degli spari. Al processo, due anni dopo, sarà la strenua difesa dell'avvocato Gaetano Manfredi, principe del foro, a salvarlo dalla condanna e ad agevolarne l'assoluzione per vizio totale di mente.

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Nel giugno del 1914, Cifariello sposa a Roma la 22enne Evelina Fabbri. Due settimane dopo, la ragazza muore per le ustioni provocate dal rogo partito da un fornello a spirito nell'appartamento del Vomero dove la coppia si era trasferita. Un terzo matrimonio con la tedesca Anna Marzell e la nascita di due figli (il più giovane, Antonio, futuro attore, morirà giovane in un disastro aereo in Africa), non salvano l'artista dalla depressione. Filippo Cifariello si uccide a 71 anni nel suo studio di Napoli. Tormentato dai demoni, come aveva vissuto.
 

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