Sigarette papà
caramelle mammà,
biscuit bambino
dduie dollare e signurine
(Tammurriata nera).
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Ciccio Formaggio cominciò a lavorare come ragazzo di bottega in una piccola sartoria di vico Carbonari, nel cuore di Forcella e di un certa Napoli ricca di storia, di fascino e di memorie. Ciccio Formaggio - della cui mansuetudine Luisa abusava perché nun teneva o curaggio nemmeno e parlá! - è una delle "macchiette" più famose della premiata ditta Pisano e Cioffi, scritta nel 1940. Ne fece il suo cavallo di battaglia il grande Nino Taranto, nato a vico Carbonari nel 1907. Un tempo il vicolo si chiamava dei Carboni, dal nome di una famiglia che fino al Settecento vi ha abitato prima di estinguersi. Dunque i carbonari, intesi come venditori di carbone, non c'entrano niente, così come non c'entrano niente le società segrete. La viuzza fu poi chiamata Regina Coeli, per la prossimità al convento omonimo.
Quanta storia nei nomi dei vicoli di Forcella. E quante tracce nascoste nei labirinti della toponomastica. Lo stesso nome, Forcella, nasce dall'inconfondibile segno urbanistico del quartiere, la cui strada principale, nella parte finale, si biforca assumendo l'aspetto, appunto, di una forcella.
In via Carbonari, nel dopoguerra, spuntarono le prime bancarelle del mercato nero, che poi si estesero all'intera Forcella. I soldati angloamericani, che avevano bisogno di denaro per potersi accompagnare con le segnorine, strinsero con la gente del posto un patto di ferro.
A Forcella, dove i palazzi hanno radici antiche, dietro ogni toponimo c'è una storia, un luogo della memoria. C'erano una volta gli scassacocchi: Raffaele D'Ambra, un erudito dell'800, fu tra i primi a cercare l'origine dell'antico toponimo. D'Ambra spiegò che il vicolo «era frequentatissimo dalle carrozze e carriole che dovevano salire alla via Tribunali; ma esse per la notevole strettezza dello spazio urtavano nei mozzi e nelle ruote frequentemente e si guastavano, onde il nome attuale». Scassa oggi, scassa domani, alla fine i poveri cocchi finivano dallo sfasciacarrozze (anzi dallo sfasciacocchi). Ipotesi suggestiva, ma appare più probabile che il nome della strada derivi dalla vicina chiesa dell'Assunta, detta anche di Santa Maria la Bruna dei Caraccioli, alla quale era annessa la piccola congrega dell'Ordine degli Scassacocchi. D'altra parte, non si può nemmeno escludere che questa congrega abbia a sua volta preso il nome dalle dimensioni molto ridotte della strada, causa di innumerevoli sfracelli per le vetture che la attraversavano. Deliziose dispute accademiche, mai realmente risolte.
Vico Scassacocchi viene citato nel film “Napoli Milionaria” di Eduardo De Filippo: il personaggio di Pasqualino Miele (interpretato da Totò) abita al quinto piano del civico 17. Il vicolo viene citato anche nella commedia atto unico di Eduardo Quei figuri di trent'anni fa: «... Accussì io te ce facimmo a mappatella, e ce ne turnammo n'ata vota o sesto piano do Vico Scassacocchi», esclama donn'Assunta, mossa dal desiderio di tornare nella casa nativa.
E le Zite, chi erano costoro? Secondo gli storici del tempo, l'appellativo zite si riferisce all'elevato numero di nubili che vivevano lungo la suddetta strada. Più probabile che in questa zona vivesse una famiglia Zita, di cui si sono perse le tracce.
Ma dietro i vicoli di Forcella si agitano i fantasmi di un passato spesso leggendario e ricco di suggestioni, anche esoteriche. Non a caso questa zona della città, antica e nobilissima, è stata teatro di alcune delle imprese che la tradizione popolare attribuisce a Virgilio, sommo poeta ma soprattutto, nell'immaginario collettivo della città, negromante e mago. Tra gli incantesimi e gli esorcismi praticati dall'autore dell'Eneide - considerato il primo, vero santo protettore della città - v'è il «rito propiziatorio» compiuto per liberare Napoli dai rettili che la infestavano. Secondo la leggenda, dopo aver catturato una serpe enorme e velenosissima, il grande Virgilio l'avrebbe uccisa e imprigionata sotto due metri di terra: come per intanto, da quel momento i rettili smisero di terrorizzare i napoletani. Con l'affermarsi del Cristianesimo la storia venne raccontata in tutt'altro modo. A liberare la città dai serpenti fu la Madonna e nel luogo del prodigio fu costruita una chiesa, che venne dedicata a Santa Maria ad Agnone.
D'altra parte, paganesimo e Cristianesimo si sono variamente sovrapposti e intrecciati nel corso della storia, pertanto non deve stupire che la nuova religione, per accreditarsi e guadagnare consensi, si impadronisse dei miti e delle leggende altrui. Sia come sia, l'antico edificio che affaccia sullo slargo di vico della Serpe (una traversa di via Oronzio Corsa) è tutto ciò che resta di quel luogo di culto e di quella controversa leggenda.