Zite, Serpi e Scassacocchi: quanta storia nei nomi dei vicoli di Forcella

Qui i palazzi hanno radici antiche e dietro ogni toponimo c'è un'epopea da raccontare

I vicoli di Forcella
I vicoli di Forcella
di Vittorio Del Tufo
Domenica 5 Novembre 2023, 10:00
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Sigarette papà
caramelle mammà,
biscuit bambino
dduie dollare e signurine

(Tammurriata nera).

* * *

Ciccio Formaggio cominciò a lavorare come ragazzo di bottega in una piccola sartoria di vico Carbonari, nel cuore di Forcella e di un certa Napoli ricca di storia, di fascino e di memorie. Ciccio Formaggio - della cui mansuetudine Luisa abusava perché nun teneva o curaggio nemmeno e parlá! - è una delle "macchiette" più famose della premiata ditta Pisano e Cioffi, scritta nel 1940. Ne fece il suo cavallo di battaglia il grande Nino Taranto, nato a vico Carbonari nel 1907. Un tempo il vicolo si chiamava dei Carboni, dal nome di una famiglia che fino al Settecento vi ha abitato prima di estinguersi. Dunque i carbonari, intesi come venditori di carbone, non c'entrano niente, così come non c'entrano niente le società segrete. La viuzza fu poi chiamata Regina Coeli, per la prossimità al convento omonimo.

Quanta storia nei nomi dei vicoli di Forcella. E quante tracce nascoste nei labirinti della toponomastica. Lo stesso nome, Forcella, nasce dall'inconfondibile segno urbanistico del quartiere, la cui strada principale, nella parte finale, si biforca assumendo l'aspetto, appunto, di una forcella. 

In via Carbonari, nel dopoguerra, spuntarono le prime bancarelle del mercato nero, che poi si estesero all'intera Forcella. I soldati angloamericani, che avevano bisogno di denaro per potersi accompagnare con le segnorine, strinsero con la gente del posto un patto di ferro.

In cambio di sigarette, chewing-gum, profilattici (i paraschegge), scatolami di viveri e capi di vestiario, gli angloamericani chiedevano soldi - rivendendo quei prodotti al mercato nero i primi contrabbandieri ne avrebbero incassati molti di più - o bottiglie di liquore Strega. In breve tempo i forcellesi, che non potevano continuamente fare lo spola con Benevento per procurarsi il prezioso liquore, cominciarono a fabbricarlo essi stessi, manipolando con essenze varie ettolitri di alcol e dando incarico a una tipografia di stampare le false etichette, mentre a Forcella confluivano tutti i prodotti che i contrabbandieri napoletani riuscivano a rastrellare nelle campagne: farina, olio, legumi. L'economia del vicolo proliferava, mentre i boss della mafia italo-americana (su tutti don Vito Genovese, tornato in Italia poco prima della guerra per sfuggire alla giustizia americana) controllavano che tutto si svolgesse secondo i loro interessi. Per depistare gli uomini della Military Police i contrabbandieri della nascente casbah escogitarono parecchi stratagemmi, non ultimo quello di assoldare centinaia di ragazzini-sentinella che all'arrivo delle jeep della M.P gridavano «Mammà» e «Papà» dal nome delle iniziali che campeggiavano sugli elmi dei poliziotti Alleati. Lentramente il traffico nero diventò un piccolo impero. A dare grattacapi, in quel periodo, c'erano pure gli scugnizzi provenienti da altre zone della città, che organizzavano scorribande sempre più frequenti a Forcella per razziare la merce esposta sulle bancarelle; così, mentre il porto di Napoli continuava a sfornare merce destinata al mercato di Forcella, il quartiere dovette dotarsi di un'organizzazione perfetta e, per certi versi, paramilitare. Erano gli anni di Tammurriata nera e dei neri a metà, dei soldati americani e di Pistol Packin Mama, gli anni della Pelle, di Paisà e dì Sciuscià. Erano anche gli anni di Gennarino Merolla detto King Kong, il garzone di vico San Nicola dei Caserti che divenne la leggenda nera del contrabbando di Forcella, e per anni si mosse come un re tra le pieghe e le ombre dei vicoli. 

A Forcella, dove i palazzi hanno radici antiche, dietro ogni toponimo c'è una storia, un luogo della memoria. C'erano una volta gli scassacocchi: Raffaele D'Ambra, un erudito dell'800, fu tra i primi a cercare l'origine dell'antico toponimo. D'Ambra spiegò che il vicolo «era frequentatissimo dalle carrozze e carriole che dovevano salire alla via Tribunali; ma esse per la notevole strettezza dello spazio urtavano nei mozzi e nelle ruote frequentemente e si guastavano, onde il nome attuale». Scassa oggi, scassa domani, alla fine i poveri cocchi finivano dallo sfasciacarrozze (anzi dallo sfasciacocchi). Ipotesi suggestiva, ma appare più probabile che il nome della strada derivi dalla vicina chiesa dell'Assunta, detta anche di Santa Maria la Bruna dei Caraccioli, alla quale era annessa la piccola congrega dell'Ordine degli Scassacocchi. D'altra parte, non si può nemmeno escludere che questa congrega abbia a sua volta preso il nome dalle dimensioni molto ridotte della strada, causa di innumerevoli sfracelli per le vetture che la attraversavano. Deliziose dispute accademiche, mai realmente risolte.

Vico Scassacocchi viene citato nel film “Napoli Milionaria” di Eduardo De Filippo: il personaggio di Pasqualino Miele (interpretato da Totò) abita al quinto piano del civico 17. Il vicolo viene citato anche nella commedia atto unico di Eduardo Quei figuri di trent'anni fa: «... Accussì io te ce facimmo a mappatella, e ce ne turnammo n'ata vota o sesto piano do Vico Scassacocchi», esclama donn'Assunta, mossa dal desiderio di tornare nella casa nativa.

E le Zite, chi erano costoro? Secondo gli storici del tempo, l'appellativo zite si riferisce all'elevato numero di nubili che vivevano lungo la suddetta strada. Più probabile che in questa zona vivesse una famiglia Zita, di cui si sono perse le tracce. 

Ma dietro i vicoli di Forcella si agitano i fantasmi di un passato spesso leggendario e ricco di suggestioni, anche esoteriche. Non a caso questa zona della città, antica e nobilissima, è stata teatro di alcune delle imprese che la tradizione popolare attribuisce a Virgilio, sommo poeta ma soprattutto, nell'immaginario collettivo della città, negromante e mago. Tra gli incantesimi e gli esorcismi praticati dall'autore dell'Eneide - considerato il primo, vero santo protettore della città - v'è il «rito propiziatorio» compiuto per liberare Napoli dai rettili che la infestavano. Secondo la leggenda, dopo aver catturato una serpe enorme e velenosissima, il grande Virgilio l'avrebbe uccisa e imprigionata sotto due metri di terra: come per intanto, da quel momento i rettili smisero di terrorizzare i napoletani. Con l'affermarsi del Cristianesimo la storia venne raccontata in tutt'altro modo. A liberare la città dai serpenti fu la Madonna e nel luogo del prodigio fu costruita una chiesa, che venne dedicata a Santa Maria ad Agnone.

D'altra parte, paganesimo e Cristianesimo si sono variamente sovrapposti e intrecciati nel corso della storia, pertanto non deve stupire che la nuova religione, per accreditarsi e guadagnare consensi, si impadronisse dei miti e delle leggende altrui. Sia come sia, l'antico edificio che affaccia sullo slargo di vico della Serpe (una traversa di via Oronzio Corsa) è tutto ciò che resta di quel luogo di culto e di quella controversa leggenda. 

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