Squali, mummie di gatto e coppe magiche dell'Islam: i segreti dell'Orientale

Il museo dell'ateneo custodisce segreti antichissimi

I segreti dell'Orientale
I segreti dell'Orientale
di Vittorio Del Tufo
Domenica 29 Ottobre 2023, 10:00
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«È lo spirito dell'antico Egitto, depositario dei racconti a noi giunti dalle città dimenticate delle terre di Meroe e Ophir. È parente dei signori della giungla, erede dell'Africa oscura e feroce. La Sfinge è sua cugina, e lui parla la sua lingua; ma il gatto è più vecchio della Sfinge, e ricorda ciò che lei ha dimenticato»

(Howard Phillips Lovecraft)

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Cosa ci fanno, in via Chiatamone, cinque mummie egiziane di gattini uccisi 2500 anni fa in onore delle divinità? Sono in mostra nel museo dell'università L'Orientale di Napoli e rappresentano esemplari rarissimi: in tutto al mondo ne esistono meno di 30. E da dove proviene questo squalo martello imbalsamato e impagliato da talentosi e tenaci tassidermisti e ora affidato alle cure del Museo della società africana? E quanta energia ancora sprigionano le "coppe magiche" dell'antico Islam, con i rituali e le formule che vi sono inscritti? Sono solo alcuni tra i tesori etnografici e naturalistici custoditi nel complesso museale dell'Orientale, di rado aperto al pubblico, ospitato a palazzo Du Mesnil, lo splendido edificio progettato dall'architetto francese Alexis Arrougè su commissione dei fratelli di una famiglia baronale di origine belga Ermanno e Oscar Du Mesnil (imprenditori e urbanisti, realizzarono per conto del Comune di Napoli la colmata a mare che estese la terraferma della città da Mergellina all'attuale borgo Santa Lucia, ottenendo in cambio la concessione a edificare sui nuovi suoli).

Recuperate e studiate da una equipe di egittologi dell'Università L'Orientale, le mummie di gatto (quattro di specie libica, una di specie nilotica) risalgono a un periodo compreso tra il 390 avanti Cristo e il 170 avanti Cristo.

La mummia più lunga misura 56 centimetri, la più corta 31 centimetri. Il rito della religione egiziana prevedeva il sacrificio dei cuccioli come segno di devozione agli dèi. Pratica crudele eppure testimonianza precisa di culti lontani. Di questo genere di mummie, con la caratteristica dei tratti somatici dipinti a inchiostro, occhi rossi e neri, ce ne sono solo altre 25 in tutto il mondo. Questo però è l'unico gruppo di cinque esemplari di mummie di gatto in Italia. E di una in particolare, che ha la caratteristica di un motivo decorativo raro (losanghe a spina di pesce), esiste solo un'altra simile al mondo. Il maggior gruppo di conservazione di mummie di gatti al mondo si trova conservato al British Museum di Londra, nel Regno Unito.

Gli antichi egizi chiamavano il gatto con il termine onomatopeico che ricorda il suo miagolio, Miou o Myeou. In Egitto si usava consacrare i bambini a Bastet, facendo un piccolo taglio sul braccio e mescolando il sangue che gocciolava a quello di un felino. In una città dove le divinità egizie sono addirittura sdraiate tra i vicoli - la statua del dio Nilo, a piazzetta Nilo - la presenza di mummie provenienti da una necropoli dedicata alle divinità feline non può passare inosservata. Napoli ha avuto storicamente rapporti molto stretti con i culti dell'antico Egitto. Fino all'avvento del Cristianesimo, furono le credenze e i miti degli antichi Egizi - e in particolare degli Alessandrini, che si stanziarono a Neapolis con abitazioni e botteghe - a plasmare la religiosità dei napoletani. La zona che si stende intorno alla statua del Nilo aveva il suo fulcro nel tempio dedicato a Iside, i cui culti iniziatici sono tuttora alla base della maggior parte delle scuole esoteriche (vedi Uovo di Virgilio del 24/09/2023). Il gatto era sacro al Sole e a Osiride mentre la gatta alla Luna e a Iside. Gli Egizi veneravano Bastet, una divinità con corpo di donna e testa di gatta. Bastet era figlia di Iside e sorella di Horus. Era una dea molto potente collegata a Ra ed era simbolo della vita, della fecondità e della maturità.

L'archeologa Roberta Giunta, responsabile della sezione islamica del museo, ci guida alla scoperta di questi autentici tesori etnografici. Il museo è dedicato a Umberto Scerrato, archeologo e docente dell'Orientale, che, all'inizio degli anni '70 del Novecento, ebbe per primo l'idea di realizzare un Museo didattico acquisendo, per questo scopo, ceramiche e metalli di area iranica. E proprio i materiali di area iranica rappresentano il settore più consistente della collezione, al quale si sono aggiunti, nel tempo, altri reperti di varia origine che hanno contribuito ad arricchire il nucleo originario. Attualmente sono presenti nelle collezioni del Museo stele funerarie egiziane, sigilli del Vicino Oriente antico, frammenti ceramici scavati in Sudan, materiali provenienti dall'Eritrea e dall'Etiopia, sculture dell'India del Nordovest, porcellane cinesi. La galleria raccoglie circa 300 reperti archeologici di diverse dimensioni, provenienti dal vicino e lontano Oriente e dall'Africa. Negli anni '60-'70 molti docenti hanno portato oggetti dai loro scavi. Tra i maggiori raccoglitori, proprio l'archeologo Scerrato al quale è dedicato il museo. «Ci sono, inoltre, tutti gli oggetti che l'Università ha acquistato o che gli sono stati donati da diverse istituzioni o enti», dice l'archeologo Andrea Manzo, responsabile della sezione Africa del museo. Tutto questo materiale ha aspettato per anni di trovare una sua collocazione; poi docenti, esperti e collaboratori dell'Orientale sono riusciti a dar luce a questo progetto e ad aprire il primo Museo didattico dell'ateneo.

La sezione islamica del Museo Orientale consta di circa 300 oggetti di cui oltre la metà in esposizione. Si tratta di produzioni provenienti da un'ampia area dei territori che erano sotto il controllo dell'Islam (dall'Egitto all'Asia centrale): stele funerarie in marmo dai cimiteri dell'Alto Egitto con epitaffi in lingua araba, vasellame e lucerne in ceramica, soprattutto invetriata, dalle officine dell'alta Mesopotamia, dell'area sud-caspica, dell'Iran centro-settentrionale e della regione storica del Khorasan (oggi divisa tra l'Iran nord-orientale, l'Afghanistan settentrionale e il Turkmenistan). Tra i tesori custoditi nel museo dell'Orientale vi sono le 150 "coppe magiche" islamiche in metallo, recuperate intorno al dodicesimo secolo dopo Cristo. Alle coppe venivano associati, nell'antico mondo islamico, poteri taumaturgici e terapeutici: vi sono inscritte formule nelle quali si precisa l'uso che bisogna farne per ottenere vantaggi, dalla cura di mali fisici a quelli psicologici. Dal morso dello scorpione, o del serpente, a ogni tipo di esaurimento nervoso. I cimeli sono stati donati al museo dell'Orientale da un collezionista romano che li aveva acquisti presso case d'asta.

Inserito in un progetto di valorizzazione del Museo della società africana (che fa parte del sistema museale di ateneo ospitato a palazzo Du Mesnil) è anche lo squalo martello (oggetto di restauro da parte di un gruppo tassidermisti di una società Pisa) di due metri e mezzo, proveniente dal Mar Rosso meridionale, catturato durante una battuta di caccia verso la fine dell'800. L'animale verrà esposto dopo l'allestimento della vetrina, in fase di realizzazione. E ancora crani, scheletri, trofei di caccia, lance cerimoniali: tutte preziose e inedite testimonianze etnologiche che evocano culti antichi e traduzioni lontane. Nel nome di quell'abbraccio tra popoli lontani e culture diverse di cui, oggi più di ieri, avvertiamo con forza la necessità. 

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