L’episodio, raccontato dall’avvocato Rosanna Carpentieri, è solo la punta di un iceberg: che si tratti di gratuiti patrocini o di difese d’ufficio, in genere tra l’istanza di liquidazione delle competenze e la successiva emissione del decreto di pagamento, l’avvocato è costretto ad attendere almeno tre o quattro anni; anni che si sommano a quelli dell’attività processuale poiché le competenze dei difensori vengono maturate per fase (processo di primo grado, appello e poi cassazione), con la conseguenza che l’intera attività difensiva viene liquidata al termine di quella specifica fase e non prima.
L’avvocato si ritrova perciò a dover lavorare per anni senza vedere compensi per quel determinato incarico ma quando, finalmente, al termine del singolo procedimento presenta l’istanza di liquidazione, comincia un nuovo calvario fatto di ostacoli burocratici e meccanismi farraginosi. Il primo scalino da superare, nel caso di difese d’ufficio, prevede la ricca documentazione da reperire per inoltrare la domanda al giudice che verifica i presupposti. Passano anni e il giudice emette il decreto di liquidazione. A questo punto si apre la seconda fase, quella delle notifiche. Il decreto deve essere trasmesso, all’avvocato, all’imputato e al pm. Questo ha 20 giorni di tempo per sollevare un’eventuale opposizione.
Passano però altri mesi, a volte anni anche perché spesso la notifica all’imputato non va a buon fine: dopo di ché l’avvocato, dopo aver ricevuto la fatidica chiamata dall’ufficio del tribunale «spese pagate dall’Erario», può finalmente presentare fattura per il pagamento. Nel complesso, l’avvocato per ottenere il pagamento delle proprie spettanze può arrivare ad aspettare persino dieci anni anche perché dal momento in cui il giudice dispone la liquidazione fino al trasferimento del fascicolo all’ufficio erario, all’ottavo piano della cittadella giudiziaria, trascorre, inspiegabilmente, almeno un altro anno.