«Sono pronto a dare una mano anche io. Quando accadono eventi così drammatici la solidarietà deve essere il motore che ci muove. Del resto, lo abbiamo vissuto anche noi sulla nostra pelle». L'architetto salernitano Diego Granese è sbarcato all'aeroporto di Istanbul lunedì mattina, a poche ore dal terremoto che ha raso al suolo città e strappato alla vita migliaia di persone.
«Ho accompagnato mia figlia che ha vinto una borsa di studio in fashion design e dovrà restare qui per sei mesi. Tornare indietro? No. Esiste un principio di imprevedibilità in tutte le cose, anche se episodi del genere devono essere di lezione per spingerci a lavorare sempre con scienza e coscienza: in ballo ci sono vite umane». Su Istanbul sono calati il gelo e la neve. Ma nonostante una scossa di terremoto registrata l'altra sera, la vita scorre apparentemente normale. «Quando siamo arrivati in aeroporto mi ha sorpreso il paesaggio fantasma - spiega Granese - In città, invece, è già partita la gara di solidarietà per i territori colpiti. Ho visto catene di giovani che, nonostante le temperature rigide, facevano la staffetta per caricare auto e furgoni di vestiti, alimenti, medicine. Erano in tanti e non si sono fermati neppure per un istante. Una scena che mi ha commosso e mi ha portato alla memoria immagini simili vissute in prima persona».
Il riferimento, inevitabile, è al 23 novembre del 1980. «Sono originario di Montella e quel giorno i miei familiari si salvarono solo perché erano venuti a Salerno a trovare mia madre che si era operata.
Il terremoto non è solo una questione emotiva, in particolare per un addetto ai lavori: «Mentre Istanbul è una metropoli disegnata e costruita con criteri di modernità, i territori al confine con la Siria sono costellati da fabbricati in malta dove saranno stati adoperati materiali inadeguati e anche criteri lontani dai principi antisismici a cui siamo ormai abituati. Confesso, sono stato tentato dall'andare lì per verificare con i miei occhi questa ipotesi che mi sono fatto vedendo, come tutti, le immagini dell'orrore. Per ora gli impegni familiari me lo impediscono, ma se c'è necessità sono pronto a dare una mano. Non dobbiamo assuefarci alle tragedie, dobbiamo restare umani - insiste l'architetto - Però sono fiducioso. Uso Facebook per comunicare la mia posizione. In poco tempo ho avuto tantissime telefonate e messaggi anche da clienti che si trovano in tutto il mondo, dalla Spagna agli Stati Uniti. Questa è la prova che i social, se utilizzati bene, sono utilissimi».