Finti corsi formativi, introiti per 57 milioni e 268 persone indagate dalla Procura di Vallo della Lucania

Chiusa l’inchiesta dei finanzieri, oltre 200 le aziende controllate. L’ipotesi: «Credito d’imposta ottenuto con false attestazioni»

La Guardia di Finanza
La Guardia di Finanza
di Nicola Sorrentino
Sabato 10 Febbraio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 11:36
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«Finti corsi di formazione», la procura di Vallo della Lucania conclude un'indagine per 268 persone. Il lavoro della Guardia di Finanza di Agropoli, tra il 2020 e il 2021, racchiude, a seconda dei ruoli, accuse quali associazione a delinquere, indebita compensazione di crediti d'imposta, falso e auto riciclaggio. Per l’accusa il meccanismo si basava su crediti inesistenti ottenuti grazie a false attestazioni di formazione di personale dipendente. 

In 20 rispondono di associazione a delinquere. Nel dettaglio, una rete di procacciatori avrebbe individuato le imprese alle quali proporre di beneficiare del credito d'imposta inerente la formazione del personale; a tal fine, una società con sede a Cicerale, piccolo paese nel Cilento, avrebbe fornito alle imprese la documentazione relativa alle ore di formazione (furono sequestrati registri didattici delle presenze, autocertificazioni, relazioni del docente) che i dipendenti dichiararono di aver effettuato ma che, in realtà, non sarebbero mai avvenute. Con quelle stesse carte, poi, venivano creati falsi contratti collettivi aziendali per attestare i costi sostenuti dalle imprese, retrodatando le stipule dei contratti in ultima istanza ad altri professionisti "compiacenti", che rilasciavano alle imprese beneficiarie l'attestazione del credito d'imposta. Quest'ultimo veniva poi restituito in percentuale, a titolo di provvigione. I contratti collettivi venivano redatti da delegati sindacali, oltre che da professionisti, con marche da bollo ritenute false che servivano ad attestare l'avvenuta formazione. I guadagni complessivi furono stimati in circa 57 milioni di euro. Per alcune delle imprese coinvolte vi è l'accusa di auto riciclaggio: i soldi che attestavano formalmente il pagamento delle fatture legate ad operazioni inesistenti, sarebbero stati trasferiti per ostacolarne l'individuazione, in quanto ritenuti «di provenienza delittuosa».

Le aziende coinvolte in tutta Italia furono oltre 200. Le indagini si svilupparono grazie al lavoro dell'unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia, che si concentrò sui flussi di denaro in uscita riconducibili ad una Srl, che faceva riferimento ad un imprenditore cilentano, verso una piattaforma estera. Alla base dei presunti raggiri, infatti, vi sarebbe sia una società italiana che una straniera, operanti formalmente come società di consulenza e formazione per le imprese. I corsi riguardavano i campi delle tecnologie innovative e digitalizzazione previste dal Piano Nazionale Industria 4.0. Con la chiusura dell'inchiesta, gli indagati potranno chiedere interrogatorio o presentare memorie, prima della richiesta di rinvio a giudizio.

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