Il viaggio di Bianca nell'Italia divisa sul treno della felicità

Il ricordo: ero partita da casa piena di terrore per il treno e per i comunisti

Il viaggio di Bianca nell'Italia divisa sul treno della felicità
di Giuseppe Galzerano
Sabato 7 Gennaio 2023, 08:33
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La storia di Bianca D'Aniello, bambina salernitana salita nel 1947 con i sandali di cartone su un «treno della felicità», non si trova in nessuno dei libri che parlano dei bambini e delle bambine del sud affamato e misero dell'immediato dopoguerra in affido temporaneo alle famiglie dei comunisti del nord. Sembra quasi una favola. Alla presentazione veneziana del libro di Giovanni Rinaldi «Su quel treno c'ero anch'io» (Solferino Editore, Milano) stringe tra le mani una borsa nera, dalla quale tira fuori una foto ingiallita, leggermente strappata, di un gruppo di bambine e bambini sorridenti, fotografati sotto il volto di Garibaldi disegnato alla parete. Sul retro c'è il timbro del Partito Comunista Federazione di Treviso, con la bandiera rossa, la falce, il martello e la scritta «Ricordo di un lieto soggiorno. Treviso, 21 maggio 1947-10 settembre 1947. P. il Comitato pro Bimbi di Salerno, Maria Bellieni. Alla Bimba D'Aniello Bianca di Angelo, Salerno».

Sestogenita di otto figli, Bianca nasce a Sant'Angelo di Ogliara il 9 marzo 1937 in una famiglia non di poveri ma di «miserabili», ricorda con sofferenza. «Mangiavamo erbe, ghiande e quello che capitava».

Un'infanzia durissima condita di fame e miseria, aggravata dalla morte del padre, che durante la guerra lavorava con gli inglesi a spaccare pietre in un cava e un giorno un macigno lo schiaccia. La madre si sposta da una casa all'altra perché non riesce a pagare il fitto e a sfamare i figli. I fratelli più grandi vanno a lavorare scalzi da Ogliara alle Cotoniere Meridionali. Orazio, quello più sveglio, è amico del farmacista Mario Del Santo, «una gran brava persona», dal quale apprende che possono godere per quattro mesi di una «vacanza» gratuita e di essere sfamati da una famiglia di comunisti del nord. La madre, che non crede alla propaganda democristiana dei comunisti che mangiano i bambini, si informa e decide di far partire due delle sue bambine.

Bianca ricorda: «C'ero anch'io sui quei treni! La mia famiglia era poverissima, camminavo scalza e mia madre per non farmi sfigurare, prima di mettermi sul treno, mi fece un paio di sandaletti di cartone. Arrivai a Treviso dopo due giorni e due notti di paura e con un sandaletto e mezzo. Sul treno c'era anche la mia sorellina. Per la stanchezza mi addormentai e, nel frattempo, fecero scendere una parte dei bambini. Quando mi svegliai mia sorella non c'era più, era andata con gli altri bambini a Belluno. Sul momento mi spaventai tanto, ma poi ci ritrovammo a Treviso. Arrivammo in stazione molto tardi, ci aspettavano da ore. Pioveva. Abbiamo dormito a casa di una signorina, forse una maestra. La mattina ci portano alla Federazione del PCI. Cominciano ad arrivare le persone, dicevano: Prendiamo una femminuccia, i maschi sono pericolosi. Le signore che erano lì in attesa, sceglievano: Questa qui la prendo io, e questa tu. Io non parlo, era questa la nostra educazione. Si avvicina una signora e mi dice: Questa piccola è la più bellina e mi domanda se vado con lei. Io pensavo di essere brutta e sporca. Facevo solo cenni con la testa. Lei, Rosa Biancotto, che è stata una donna straordinaria, mi dice di avere una bella stanza pronta per me, dei bei pesci appena infornati. Comincio a sorridere. Il marito, il partigiano Luigi Cocchetto, si avvicina con la bicicletta e sul tubo del telaio ha messo un bel piumone morbido per farmi sedere. Mi vogliono subito un gran bene. Mi hanno dato tutto. A pensare che ero partita da casa piena di terrore per il treno e per i comunisti Hanno un pezzettino di terra, dei polli, insomma si mangiava. Quando arriva il giorno del ritorno piango, non voglio più tornare a Salerno. Luigi, dopo due giorni, dice alla moglie che viene a Salerno per vedere come sto e chiede a mia madre di potermi adottare. Quando ho visto mio zio - come lo chiamavo - mi attacco felice alla sua mano. Ritornata a Treviso mi hanno cresciuta come un fiore, dandomi di più di più altro che comunisti che mangiano i bambini, come aveva detto anche il prete... E sono rimasta qui in Veneto per sempre».
Da comunista, a 21 anni non può non sposare Sergio Calzavara, facchino comunista di Mestre. «Il sindaco di Treviso è un democristiano, ma io non mi faccio sposare da un sindaco democristiano! Così chiedo a Concetto Marchesi di venirmi a sposare civilmente al comune di Treviso», ricorda con orgoglio. «Allora il mio matrimonio è uno scandalo ma le donne mi hanno applaudito». Il viaggio di nozze lo fa a Salerno e la madre, che non era andata al matrimonio, conosce il marito e le dice: «Figlia mia, quanto è bello sto uaglione!».
Assunta alla Coop di Carpenedo frequenta da adulta la scuola diplomandosi. Da pensionata gira il mondo, recandosi in Unione Sovietica, in Cina, negli Stati Uniti al seguito del figlio violinista. E spera di tornare ancora a Salerno, dove vive una delle sue sorelle.
 

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