La resa dei negozi storici: «Chiudono mille vetrine»

Dati e allarme lanciato dal presidente di Confesercenti provinciale di Salerno, Esposito

I negozi
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di Nico Casale
Venerdì 10 Febbraio 2023, 07:18 - Ultimo agg. 07:21
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«Chiudono mille tra attività legate al commercio tradizionale e pubblici esercizi e ne aprono poche di più. Il problema è che gli esercizi storici muoiono e difficilmente saranno rimpiazzati dalla stessa tipologia di attività». A dirlo è il presidente di Confesercenti provinciale di Salerno, Raffaele Esposito, sulla base dei dati di Confesercenti nazionale che, commentando i dati diffusi da Istat sul commercio al dettaglio di dicembre, rileva che nel commercio si sono perse 15mila attività in Italia nel 2022.



Esposito osserva come «i giovani, coscientemente e al passo con i tempi che vivono, colgono l'opportunità di investire sui settori dell'innovazione tecnologica, del digitale, del green. Intanto, mentre si iniziano a rivedere le attività tradizionali legate all'artigianato di lusso, le attività tradizionali del commercio stentano a riaffacciarsi e, quindi, assistiamo a un loro lento declino». Il leader salernitano dell'associazione di categoria constata, infatti, che, «raramente, il mercato deciderà di sostituire gli esercizi storici e tradizionali, vanto delle nostre comunità e punti di riferimento essenziali, con attività della stessa qualità». Da qui, Esposito sostiene che «è una lenta e drammatica situazione socioeconomica che volge al peggio e che, puntualmente, stiamo raccontando da mesi». Confesercenti nazionale avverte che il 2023 rischia di diventare, nel triennio post pandemia, l'anno con il peggiore risultato della spesa domestica. E la frenata della ripresa dei consumi sta incidendo pesantemente nel comparto del commercio, in particolare in settori quali l'abbigliamento-tessuti e calzature, con oltre 2mila imprese sul territorio nazionale che hanno chiuso per sempre i battenti (circa il 4% in meno); mentre nel commercio su aree pubbliche la discesa è inarrestabile, con una stima di perdita di quasi 5mila imprese (circa il 3%).

Nel complesso, una perdita complessiva, in Italia, di oltre 15mila attività solo nel 2022 (il 2%).

Da qui, Esposito sottolinea che «i dati raccolti dalla nostra organizzazione cristallizzano una situazione critica che, per il 2023, potrebbe tradursi in una nuova e inesorabile ondata di chiusura di negozi storici e tradizionali, quelli delle nostre città, delle nostre periferie e delle nostre comunità. Sarebbe un danno sociale ed economico incalcolabile sia in termini di reddito pro-capite per le nostre famiglie sia in termini di controllo e sicurezza del territorio. Sappiamo bene il significato di avere negozi e quindi baluardi di vitalità, sicurezza ed onestà lungo le nostre strade e nei nostri quartieri». Perciò, ritiene necessario «lavorare al fianco delle istituzioni». «Per arginare e fermare questa tendenza - sostiene Esposito - bisogna ripartire dagli enti locali e dal governo dei territori per una maggiore concertazione e supporto a queste attività. Le crisi e i venti di guerra, la pressione fiscale e il caro-vita giocano, purtroppo, un ruolo determinante in maniera negativa e alimentano le chiusure».

Quanto alle vendite nei negozi tradizionali, in provincia di Salerno, «nel 2022 e agli inizi del 2023, c'è stato un crollo che va dal 10 al 20%», rileva Esposito, secondo il quale «i saldi invernali, partiti il 5 gennaio scorso, hanno in parte attenuato questo trend negativo che, purtroppo, perdura». Un dato che, secondo il presidente provinciale di Confesercenti Salerno, «constatiamo ogni giorno. I negozi sono per lo più vuoti perché quasi nessuno fa più shopping. È diminuito il potere d'acquisto delle famiglie, specialmente al Sud Italia». Confesercenti nazionale, in Italia, osserva che, tra l'altro, soffrono le vendite di beni alimentari che da gennaio scorso registrano variazioni negative anno su anno: un indicatore, questo, del livello di difficoltà che le famiglie devono affrontare nella spesa per gli acquisti. «Addirittura - commenta Esposito - vediamo che sono in calo anche i consumi nel comparto alimentare. Da un lato, c'è la sensazione di una spesa più intelligente, magari evitando gli sprechi; dall'altro, c'è la consapevolezza, da parte delle famiglie, di non intravedere un futuro condito da fiducia», conclude.
 

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