Ruggi, il vigilante ferito dall'immigrato:
«No alla psicosi, era un giovane disperato»

Ruggi, il vigilante ferito dall'immigrato: «No alla psicosi, era un giovane disperato»
di Giulio D'Andrea
Martedì 7 Gennaio 2020, 06:00 - Ultimo agg. 11:19
3 Minuti di Lettura

L’aggressione subita al pronto soccorso, lo choc, probabilmente un’operazione alla mano che dovrà affrontare. Nonostante ciò, Luciano Simeone, napoletano di sessanta anni e guardia giurata all’ospedale Ruggi D’Aragona di Salerno, non porta rancore per l’uomo che ha causato tutto questo. Il suo è un messaggio che definisce di «pace». 

«Sono stato colpito da una persona disperata. Disperata come ce ne sono tante. Non da un extracomunitario e tantomeno da un presunto terrorista. Gridava Allah come noi gridiamo Dio Mio in una situazione di dolore». Ora Luciano Simeone è a casa, in malattia, a Sant’Angelo dei Lombardi, paesino della provincia di Avellino dove risiede da anni insieme alla sua famiglia.

Luciano, ci racconti intanto com’è andata in ospedale.
«È accaduto tutto poco prima delle 7, ci apprestavamo al cambio turno. Entra un ragazzo accompagnato dalle forze dell’ordine. Di sicuro non aveva cinture esplosive o armi. Aveva gli occhi sbarrati e viene portato in codice verde, stava male ma non era grave. Dopo qualche minuto sento delle urla, esco dalla mia postazione e vedo gente che scappa. Raggiungo la sala, il ragazzo è nel bagno. Cerco di calmarlo, lui vuole rinchiudersi dentro. Non parla italiano. Arriva il mio collega, in casi del genere si opera sempre in due. Cerchiamo ancora di calmarlo, lui prende lo specchio e il mio collega lo stringe per evitare guai. Nasce una colluttazione. Non so nemmeno come e ci ritroviamo a terra. Il paziente grida «Allah» più volte. Non «Allah akbar». Solo Allah, come molti cattolici gridano Dio o Gesù. È fuori di sé e disperato. Cinque minuti di caos, poi verrà portato via».

È la prima volta che assiste a scene simili o che viene coinvolto in situazioni del genere?
«Ho iniziato tardi il mio lavoro come agente di vigilanza. Ma in tre anni di servizio all’ospedale Ruggi ne ho viste tante. Padri disperati per i loro figli, figli piccoli soprattutto. Genitori delusi, parenti preoccupati, nervosi. Si può reagire male al dolore, all’ansia, allo stress. Stiamo parlando di luoghi particolari che andrebbero sostenuti di più a beneficio di pazienti, medici, infermieri, operatori. E se permette anche di noi vigilantes. Ma non si deve mai perdere l’umanità. Sono cattolico e le persone restano uguali. Sono contrario agli estremismi ma anche alle generalizzazioni. Mi ha aggredito un povero disgraziato come me, non so neanche se sporgerò denuncia (dopo venti giorni di prognosi non c’è bisogno di querela di parte, interviene direttamente la polizia, nda). Voglio lanciare un messaggio di pace».

Adesso rischia di non lavorare per un po’ viste le condizioni della sua mano. Come si sente?
«Dopo i fatti sono rimasto quasi sotto choc. Poi ho trovato la forza di raccontare, soprattutto dopo aver percepito una psicosi che si stava scatenando leggendo le reazioni su internet. Non so se dovrò subire un’operazione, oggi torno in ospedale a Salerno ma come paziente. Penso sia importante che io lanci un appello di pace e fratellanza. La pace è il perdono ma nel senso più pratico è anche garantire il lavoro e la sicurezza di chi lavora in ospedale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA