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Lockdown, Crisanti: «Bisognava chiudere solo la Lombardia e vigilare sulle altre zone del Paese»

Lockdown, Crisanti: «Bisognava chiudere solo la Lombardia e vigiliare sulle altre zone del Paese»
Lockdown, Crisanti: «Bisognava chiudere solo la Lombardia e vigiliare sulle altre zone del Paese»
di Mauro Evangelisti
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 9 Agosto 2020, 09:42 - Ultimo agg. : 11:11
4 Minuti di Lettura

«Mi spiace, ma il governo ha commesso un errore chiudendo tutta l'Italia allo stesso modo. Lo so, è facile parlare con il senno di poi. Ma le invio un po' di link, in cui vedrà che già a febbraio dissi che sarebbe stato necessario fare due cose, immediatamente: chiudere e isolare la Lombardia, mettere in sicurezza il resto d'Italia, vigilando sui focolai».
Il professor Andrea Crisanti, docente di Microbiologia all'Università di Padova, e protagonista del modello Veneto nella lotta con l'epidemia (nella prima fase, ora c'è distanza tra lui e Zaia) ripete: chiudere tutta l'Italia con il lockdown dell'11 marzo è stato un errore.
Professore cosa pensa del fatto che il 7 marzo il Comitato tecnico scientifico propose di chiudere solo la Lombardia e alcune province del resto del Nord e, al contrario, il governo l'11 optò per un lockdown nazionale?
«Io il 27 febbraio dissi che bisognava immediatamente chiudere la Lombardia. Successivamente ho sempre detto che, oltre a chiudere la Lombardia, bisognava mettere in sicurezza il resto d'Italia, che non significa però lockdown generalizzato come invece è stato fatto».
Cosa intendeva per mettere in sicurezza il resto d'Italia?
«Significava attaccare immediatamente i piccoli focolai che c'erano e spegnerli subito. Individuare con i tamponi tutti i contagiati».
Quindi non chiusura generalizzata da Enna ad Alzano, ma interventi chirurgici e tempestivi per bloccare i focolai.
«Esatto. Ripeto, la successione delle cose da fare era chiara e posso dirlo perché lo affermai allora: chiudere la Lombardia, dove i casi erano numerosi, affrontare come facemmo a Vo' i focolai che emergevano nel resto d'Italia».
Perché secondo lei il Governo non accolse il suggerimento del Comitato tecnico scientifico che il 7 marzo ipotizzava chiusure limitate ad alcune aree del Nord, a partire dalla Lombardia?
«Diciamo che probabilmente il Governo ha dubitato di quei consigli e ha preferito eccedere in cautela».
Ipotizziamo che l'indicazione del Cts ma anche la tesi di Crisanti, sulle chiusure mirate, fossero la strada giusta, anche se non avremo mai la controprova. Il danno economico e sociale per il Centro-Sud è stato imponente.
«Indubbiamente. E lo dissi anche allora. In primis, sulla base dei dati che raccogliemmo in Veneto con i tamponi a Vo' Euganeo, con un 3 per cento di positivi, e con l'R0 ipotizzabile a 3,6 in Lombardia in quei giorni, dissi che non c'erano dubbi: la cosa da fare subito era chiudere la Lombardia. Non il Paese».
Forse ci sono state pressioni economiche di cui il decisore politico ha dovuto tenere conto.
«Uno che fa pressioni economiche, in fondo, è legittimato a farlo, l'industriale fa il suo mestiere e chiede di aprire la fabbrica. Ciò che non deve avvenire è che chi governa subisca quelle pressioni, non riesca a resistere. Bisognava avere il carattere per dire no, non si fa così».
Come bisogna valutare il fatto che comunque i nuovi casi positivi, su base settimanale, in Italia siano in aumento, sia pure non come negli altri paesi europei? Abbiamo a che fare con oltre ottocento focolai.
«Penso che i focolai siano destinati ad aumentare sia per numero sia per dimensioni. E questo avverrà soprattutto verso la fine delle stagione estiva e inizio autunno. L'obiettivo è far sì che rimangano focolai e non trasmissione diffusa. Con la trasmissione diffusa non saremmo in grado di controllare la situazione».
Ecco, per evitare lo spettro della trasmissione diffusa contano anche i comportamenti personali. Un po' come quando, di fronte a un incremento degli incendi, si lanciano appelli perché il cittadino non butti il mozzicone di sigaretta. Oggi non usare la mascherina o non rispettare il distanziamento è come buttare un mozzicone tra le sterpaglie. Prima o poi il grande incendio arriva.
«Proprio così. Il raggiungimento dell'equilibrio, nella convivenza con il coronavirus, dipende in parte dal comportamento dei singoli cittadini, in parte dalla capacità del sistema sanitario nazionale nell'individuare i focolai, circoscriverli, facendo i tamponi velocemente a tutti i contatti».
La preoccupa il Veneto, a partire dal numero molto alto di positivi nell'ex caserma di Treviso che ospita immigrati?
«Sicuramente quel focolaio è stato gestito molto male. Bisognava separare subito i casi positivi dagli altri, invece la caserma è diventata una sorta di Diamond Princess, la nave da crociera in Giappone con oltre 700 positivi».
Però è un focolaio circoscritto in un luogo chiuso che non dovrebbe diffondere il contagio.
«Sì, però mi scusi, non mi pare un'attenuante: sono esseri umani pure loro».
 

 

 

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