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Martedì 30 Maggio 2023, 17:38
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Per salvare il Pianeta dalla rovina totale abbiamo ancora qualche anno di tempo, ma per farlo bisogna agire subito e concretamente. Ecco perché tutti i Paesi del mondo hanno deciso nel 2015 di sottoscrivere un accordo globale per la salvaguardia dell’ambiente, con la volontà di raggiungere alcuni obiettivi prefissati molto importanti e piuttosto ambiziosi. Tra questi, il più importante riguarda la limitazione del surriscaldamento globale a soli 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali, per poi scendere ulteriormente a 1,5 gradi come nuovo limite. 

 

Altro obiettivo è quello di ridurre a zero le emissioni inquinanti, alla pari del fornire finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo, così da poterli incentivare a diminuire le emissioni e rimanere resilienti per il contrasto al cambiamento climatico. Ma, a tal proposito, non tutti i Paesi sono in grado di reggere il ritmo imposto dall’Accordo di Parigi e i casi più eclatanti sembrano essere proprio in Europa.

 

Gli obiettivi di Parigi non sono raggiungibili da tutti
 

In UE, infatti, esistono diversi Paesi che, rispetto ad altri, non hanno propriamente modo di poter mettere in pratica gli sforzi necessari per raggiungere gli obiettivi ratificati nel 2015 nella Capitale francese, in quanto troppo costosi. Senza aiuti e finanziamenti da parte dell’UE, dunque, il rischio è quello di un’Europa a due velocità diverse, che, inevitabilmente, andrebbe incontro ad un clamoroso fallimento in termini di salvaguardia ambientale. Anche perché, come viene sottolineato da un rapporto della New Economics Foundation, le proposte sembrano più restrittive delle attese. Infatti, secondo l’istituto britannico, solamente quattro Paesi del Vecchio Continente sarebbero in grado di tenere il passo imposto dalla Conferenza parigina. Essi rappresentano appena il 10% del PIL dell’intera Comunità Europea e non sorprende che si stia parlando di due nazioni scandinave, ovvero Svezia e Danimarca, insieme all’Irlanda e alla Lettonia. 

 

A questi andrebbero ad unirsi altri 5 Paesi che potrebbero, seppur in misura inferiore e meno ambiziosa, raggiungere i risultati minimi richiesti da Parigi: Estonia, Slovenia, Lussemburgo, Bulgaria e Lituania. Quelli più svantaggiati, invece, sarebbero i 13 Paesi che, tra deficit e debito pubblico, non sarebbero in grado di poter investire soldi per il raggiungimento anche solo dei minimi obiettivi dichiarati: Francia, Spagna, Polonia, Paesi Bassi, Belgio, Slovacchia, Portogallo, Grecia, Finlandia, Romania, Croazia, Ungheria e, purtroppo, Italia. Proprio Mario Draghi, qualche anno fa, aveva annunciato che lo Stivale non era finora stato in grado di tenere il ritmo preposto. Rimane nel limbo la Germania, che potrebbe, come non, riuscire a centrare alcuni obiettivi.

 

ISPRA: Italia in marcia ma lontana dagli obiettivi di Parigi
 

Concentrando l’attenzione solo su di noi, allora, possiamo analizzare cosa è stato fatto finora dal nostro Paese e se sia sufficiente a frenare il cambiamento climatico. La risposta è una via di mezzo tra un sì e un no. In altre parole, l’Italia si sta muovendo, ma non in modo sufficientemente adeguato per raggiungere, entro la scadenza prevista, gli accordi di Parigi. Questo è quanto emerge dal rapporto dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che ha analizzato l’andamento delle emissioni di gas serra nel Belpaese, osservando che esse sono oggettivamente state ridotte, rispettando alcuni obiettivi che erano stati fissati per il periodo 2013-2020: si annota, infatti, un -20% rispetto al 1990. Un dato che è per lo più dovuto alla riduzione del consumo energetico, delle minori produzioni industriali a causa della crisi economica e all’uso sempre più diffuso di energia rinnovabile, messa a disposizione da fornitori di energia che attingono da fonti completamente sostenibili. 

 

Questa tendenza può essere osservata anche nella vita quotidiana, in quanto alcune aziende non solo offrono la possibilità di personalizzare il proprio preventivo per la fornitura della luce in base alle abitudini di consumo, ma garantiscono anche l’impiego esclusivo di energia verde. Quindi le basi ci sono per fare un buon lavoro, ma il vero problema riguarda quello che bisognerà fare da ora in poi, in quanto l’asticella è stata ulteriormente alzata dall’accordo di Parigi e nell’ambito dell’agenda 2030. La sfida sarebbe quella di passare dall’attuale -20% al definitivo -43%, più del doppio in un periodo di tempo identico a quello precedente: 8 anni. 

 

2030: obiettivi e impegni difficili da rispettare
 

Inizialmente era stato stabilito che tra gli obiettivi per i settori dell’effort sharing ci fossero per l’Italia le riduzioni delle emissioni di gas serra del 33% rispetto al 2005. Quindi, c’è stato un aumento dell’ambizione in ambito UNFCCC, che ha portato per il nostro Paese un aumento della percentuale di riduzione delle emissioni di oltre il 10%: -43,7% rispetto sempre al 2005. Tradotto in quantità, significa che i 284 MtCO2eq del 2021 dovranno scendere entro il 2030 a 194, ossia del 32% in appena 8 anni, con una media minima da mantenere del 6% annuo a partire dal 2026. 

 

Secondo le previsioni del rapporto ISPRA, il massimo che il nostro Paese potrebbe essere in grado di fare, sarebbe passare dagli attuali 284 a circa 246 MtCO2eq, con una riduzione del 14%, molto lontani da quel 43,7% fissato dagli accordi di Parigi. A provocare questo rallentamento è soprattutto il settore dei trasporti, ancora non adeguato per una riduzione drastica delle emissioni. Basti pensare che i bus dell’ATAC a Roma sono tra i più inquinanti d’Europa, e solo adesso si sta pensando ad una sostituzione dell’intera flotta. Per poter cambiare marcia c’è bisogno di uno sforzo governativo enorme, a livello di incentivi e di esborsi, alla pari di quello richiesto ai cittadini che, nel giro di 7 anni, dovranno essere pronti anche a modificare le proprie abitudini quotidiane. In gioco c’è il futuro del nostro Pianeta.