Niemann-Pick, tutta colpa di un enzima

Niemann-Pick, tutta colpa di un enzima
Domenica 30 Ottobre 2022, 16:52 - Ultimo agg. 4 Novembre, 14:46
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Nei giorni scorsi si è celebrata la giornata internazionale dedicata alla malattia di Niemann Pick, una patologia ultra-rara che può insorgere sia in età pediatrica sia in età adulta. Di questa malattia oggi si conosce più che in passato e presto nuovi farmaci potranno cambiare le prospettive di vita di chi è affetto da due sottotipi specifici della malattia, ovvero il tipo A/B e B.  «Quella che sino a qualche tempo fa era conosciuta come malattia di Niemann Pick (dal nome dei medici che inizialmente l’avevano descritta), oggi viene chiamata Asmd (Acid sphingomyelinase deficiency, ndr) e viene distinta in tre sottotipi: A, A/B e B, tutti dovuti al deficit dello stesso enzima, la sfingomielinasi acida lisosomiale» spiega Antonio Barbato, specialista in medicina interna nel dipartimento di Medicina interna dell’azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli. 


Al di là di termini complessi e della descrizione dei meccanismi fisiopatologici che richiederebbero conoscenze specialistiche per essere compresi a fondo, Barbato chiarisce che l’Asmd (per la quale ci sono circa 30 diagnosi certificate in tutta Italia) è causata da una mutazione genetica che comporta la carenza o assenza dell’enzima sfingomielinasi acida. «Semplificando - afferma lo specialista - si deve immaginare l’enzima come uno strumento che dovrebbe degradare alcune sostanze di scarto delle cellule, così da scomporle in elementi più piccoli che possono essere riutilizzati dall’organismo. Un meccanismo che in questo caso non funziona o non funziona bene». Si deve insomma immaginare un sistema di “riciclo” che, per un difetto (nella fattispecie enzimatico), non riesce più a funzionare correttamente. L’Asmd di tipo A/B o B può colpire più organi e apparati e ha un decorso più lento del tipo A che invece manifesta un interessamento precoce e aggressivo soprattutto a carico del cervello e del sistema nervoso centrale. 

«Il grado di coinvolgimento clinico del paziente dipende dal tipo di mutazioni ereditate e dall’effetto di queste mutazioni sull’attività enzimatica: maggiore è il difetto enzimatico, più grave sarà l’accumulo di sostanze di scarto a livello dei lisosomi cellulari e, quindi, la manifestazione della malattia». Facile comprendere da questo esempio per quale ragione il gruppo di malattie rare a cui appartiene l’Asmd si definisca da accumulo lisosomiale. 
Barbato spiega che i campanelli d’allarme sono principalmente rilevabili a carico di alcuni organi che si possono considerare “bersaglio”. Nell’Asmd di tipo A l’organo più colpito è il cervello. Nel sottotipo A/B e B gli organi colpiti sono quelli addominali, in particolare la milza. «Si ha solitamente un aumento di dimensioni della milza e del fegato - dice lo specialista -. A volte vengono colpiti anche cuore e polmone, con gravi conseguenze per il paziente. Il sottotipo B può insorgere nell’adolescenza, ma anche nell’età adulta». 

Questo rende molto complessa una diagnosi già difficile, perché di solito si tende a pensare che queste patologie si manifestino solo in età infantile. Determinante è il ruolo dei medici chiamati a sospettare la diagnosi, come i medici di famiglia o i pediatri di libera scelta. «Un tema delicato, perché i casi sono molto rari e i sintomi possono essere aspecifici», spiega il professionista, che aggiunge: «Campanelli d’allarme possono essere l’anemia, una stanchezza prolungata e senza apparente motivo, dolori alle ossa, diarrea, solo per citarne alcuni. Sintomi che possono appartenere a diverse condizioni ma che, se abbinati a segni clinici suggestivi, come una splenomegalia senza diagnosi, devono far pensare anche alle malattie d’accumulo lisosomiale. Oggi fortunatamente esiste una maggiore sensibilità su questi temi». 


In tutta Italia esistono centri di riferimento ai quali si può accedere per una presa in carico globale. Alla Federico II, ad esempio, è attivo il centro diretto da Giancarlo Parenti che si occupa di malattie metaboliche. Così come a livello europeo esiste il network MetaBern che consente un confronto costante tra esperti a livello internazionale. La buona notizia riguarda le nuove terapie disponibili. Il centro della Federico II di Napoli è uno dei due in Italia (assieme a quello di Udine) ad aver sperimentato l’efficacia di un nuovo farmaco nell’adulto. «I risultati sono incoraggianti - conclude Barbato - anche se ancora non possiamo correggere il difetto genetico dell’enzima nativo e non possiamo somministrare uno funzionate dall’esterno. Grazie a questa nuova terapia si può avere una vita decisamente migliore. Si spera che il farmaco possa entrare in commercio al più presto, forse già nei primi mesi del 2023».
 

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