Le Rane, Ficarra&Picone
e il debutto di Ricciardi

Le Rane, Ficarra&Picone e il debutto di Ricciardi
di Donatella Longobardi
Venerdì 19 Ottobre 2018, 18:00
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«Non saremo Ficarra e Picone come non lo siamo stati nel film di Tornatore, certo, ognuno di noi ha dei colori, dei timbri, ma andremo in scena non come ditta». Salvo e Valentino mettono subito le cose in chiaro. I due comici siciliani si presentano nella loro veste di attori diretti da Giorgio Barberio Corsetti ne «Le Rane» di Aristofane per aprire il ciclo degli spettacoli dello Stabile al San Ferdinando. Sette appuntamenti, in gran parte dedicati ai linguaggi del teatro napoletano, con lo scoppiettante avvio garantito da un classico della commedia greca presentata da un grande regista e una coppia di interpreti fuori dal comune in uno spettacolo nato al Teatro Greco di Siracusa e visto anche per una sera su Raiuno da quasi due milioni di spettatori. Piccolo record della cultura in tv per uno spettacolo che ora, adattato per le scene, fa tappa anche a Napoli (7-18 novembre). Salvo Ficarra interpreta il dio Dioniso, fanfarone e codardo, Valentino Picone è il suo servo, Xantia, che come vuole l'archetipo greco è furbo e scansafatiche, ma è costretto a accompagnare il padrone nell'Ade, il regno dei morti, per riportare in vita un poeta capace di salvare Atene. Ne nasce una sfida tra Eschilo e Euripide, chi salverà la città? «È come avere una macchina del tempo per tornare a più di duemilaquattrocento anni fa nella culla della comicità, ma questa commedia ha un significato ancora attuale: la cultura può salvarci dall'imbarbarimento e dalla decadenza», spiegano i due divi di «Nati Stanchi» e «L'ora legale», che stanno scrivendo un nuovo film. «Aristofane insistono - è grande perché è sempre contestualizzabile. Se dovessimo ripetere la commedia tra vent'anni sarà uguale, ci sarà sempre un politico che cambia casacca, un popolo che vota solo per interessi personali».

L'attualità dei classici si rispecchia facilmente nell'attualità della maschera nella nuova sfida di Andrea De Rosa. Il regista napoletano, reduce proprio da una sua lettura di Euripide per il Teatro di Pompei con le «Baccanti», torna con «E pecché? E pecché? E pecché? Pulcinella in Purgatorio» (17-27 gennaio) su drammaturgia di Linda Dalisi e, nel cast, Massimo Andrei. «Abbiamo immaginato spiega il regista - un luogo abitato da una moltitudine di esseri uguali e diversissimi, tanti Pulcinelli, tante Pulcinellesse in perenne attesa di un segnale di salvezza che non arriverà mai». Napoli, naturalmente, è la protagonista muta, lo sfondo dove l'eterno Pulcinella consuma la sua sfida eterna con il potere. Napoli che la fa da padrona con i suoi linguaggi, antichi e moderni, anche negli altri spettacoli che il direttore Luca De Fusco ha scelto di ospitare nel teatro di Eduardo. Ecco, allora, Maurizio de Giovanni con «Il senso del dolore» (26 dicembre-6 gennaio), in cui il suo commissario Ricciardi deve vedersela con un caso che fa scalpore nella Napoli del 1931: l'omicidio del grande tenore Arnaldo Vezzi, trovato cadavere nel suo camerino al Teatro San Carlo prima della rappresentazione dei «Pagliacci», qui nella rilettura di Claudio Di Palma, che ne è anche protagonista. E poi «Assunta Spina» di Salvatore Di Giacomo affidata alla regia del giovane Pino Carbone, con Chiara Baffi (7-17 febbraio), uno spettacolo in cui, spiega l'autore, «affronto il testo come si affronterebbe oggi una tragedia classica e tratto la lingua napoletana come si tratterebbe una lingua tragica». D'altronde l'opera stessa, già contiene le passioni al centro di ogni tragedia: tradimento, sopraffazione, onore, vendetta.

Temi universali che echeggiano nella «Medea di Portamediana» di Mastriani (26 aprile-5 maggio) qui in scena con la drammaturgia e la regia di Laura Angiulli e con l'interpretazione di Alessandra D'Elia e Massimiliano Gallo. O nella «Festa al celeste e nubile santuario» di Enzo Moscato (28 marzo-7 aprile), un testo degli anni Ottanta centrato sull'indagine di tre solitudini, tre sorelle che vivono una condizione isterica e finiscono per assumerne le forme tipiche: mutismo, cecità e falsa gravidanza. Una sorta di noir partenopeo che affronta ancora una volta le contraddizioni racchiuse nelle dinamiche di donne contemporaneamente vittime e carnefici: come Assunta, come Coletta Esposito (la Medea di Portamedina) che uccide il figlioletto il giorno delle sue agognate nozze. Donne complesse, come quelle uscite dalla penna di Matilde Serao di cui Paolo Coletta ha riscritto, messo in scena e in musica, com'è nel suo stile, uno dei romanzi più celebri, «Il Paese di Cuccagna», in cui la fondatrice del «Mattino» descrive vicende legate al gioco del lotto, al sogno di chi scommette di poter finalmente cambiare vita: «Sto preparando un testo con forti componenti musicali e con il contributo di parti cantate», annuncia Coletta. «Non è facile cercare di ridurre per la scena un libro di cinquecento pagine, devo fare delle scelte all'interno di quello che è un grandissimo affresco della nostra cultura. Pochi l'hanno descritta come la Serao».
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