Giordano: «Vino e amori fluidi
nel mio Sannio amatissimo»

Il regista ha finito di girare "Qui staremo benissimo" con Asia Argento, storia di trans e voglia di genitorialità

Giordano: «Vino e amori fluidi nel mio Sannio amatissimo»
di Alessandra Farro
Giovedì 10 Agosto 2023, 10:24
4 Minuti di Lettura

Un piccolo vigneto, la provincia, una donna, l’amore e una famiglia di amici: “Qui staremo benissimo” è il secondo film scritto e diretto dal beneventano Renato Giordano, totalmente ambientato nel Sannio, tra Sant’Agata dei Goti e Benevento, dove le riprese sono terminate da pochi giorni. Nel cast Asia Argento, la bellissima Dana Giugliano, il tiktoker napoletano Antonio Medugno, i partenopei Mimma Lovoi, Mascia Musy e Valerio Santoro e il giovane Sabatino Barbato.

Il film, prodotto da Giallo Limone Movie, Saba Produzioni e Green Onions Entertaiment, in collaborazione con Rai Cinema, con il sostegno del Ministero della Cultura e il contributo della Regione Campania e della Film Commission, sarà nelle sale il prossimo inverno prima di approdare in tv.

Sofia (Giugliano) è un uomo che sta compiendo la fase di transizione per diventare donna, scende giù, al Sud, per ritrovare l’amica Renata (Argento), detta Renè, che ha da poco aperto un locale, il Felix, accanto alla sua modesta vigna nel beneventano. Sarà lei a presentare a Sofia, che ha una figlia di cui si sa poco, neanche chi sia la madre, il suo prossimo amore, Alessio (Medugno), anche lui di ritorno al Sud dopo anni per sbrigare delle pratiche burocratiche legate alla morte della nonna sannita. I due saranno legati da una relazione dolce e drammatica allo stesso tempo.

Giordano, lei esplora l’amore in tutte le sue forme: amicale, di coppia, genitoriale, ma alla fine tutto porta alla famiglia?

«Si tratta sempre di famiglia, in senso ampio del termine. Io appartengo ad una famiglia canonica, ho quattro sorelle, un papà che lavorava, una mamma a casa che cucinava dolci tutti i giorni e sono cresciuto legato a questa idea armoniosa di vita quotidiana e condivisa. Omosessuale fin da piccolo, ho un compagno ormai da 29 anni e anche noi teniamo al concetto di famiglia, che, a nostro modo, abbiamo costruito nel tempo: tutti i nostri amici fanno parte della nostra famiglia allargata. Quando a casa siamo in pochi, oltre a me e al mio compagno, ci sono almeno 5 o 6 amici. Io amo cucinare e abbondo sempre nelle porzioni perché può capitare che qualche amico arrivi in tarda serata e non abbia cenato, ad esempio qualche attore di teatro che viene a trovarci dopo lo spettacolo serale. Amo accogliere i miei amici, soprattutto quelli che ne hanno bisogno perché tristi oppure soli.

Per me l’amore ha mille forme, ognuna fondamentale a suo modo. In questo film al mio grande amore per la famiglia ho unito la mia grande passione per il vino».

Lei racconta di una relazione tra un trans e un uomo, entrambi vogliosi di diventare genitori: una novità per il cinema italiano.

«Nessuno ne aveva ancora mai parlato, eppure io credo sia fondamentale sdoganare un tabù del genere. Finalmente, da un po’ si racconta la voglia di genitorialità che hanno gli omosessuali, sia uomini che donne, ma nessuno aveva ancora avuto il coraggio o la necessità di esprimere le esigenze dei trans. Cambiare il proprio corpo non significa voler rinunciare al proprio desiderio di diventare madre o padre ed è giusto che nella nostra società se ne parli senza confini o limiti».

Lei è di Benevento, vive a Roma da quando ha 20 anni, ma ambienta il suo film nel beneventano: voglia di tornare al suo paese di origine?

«In provincia si sta meglio, e lo dico proprio perché sono cittadino da anni. C’è un’aria famigliare in paese, che non si respira in una grande città, dove non esistono più i rapporti umani, incontrarsi al bar e prendere un caffè insieme, vivere il tempo con lentezza ed entusiasmo. Non a caso, Renè torna al suo paese d’origine dopo anni al Nord, Sofia sente l’esigenza di allontanarsi dalla città e decide di andare da Renè proprio perché in paese ed Alessio riscopre se stesso tornando al Sud per via della nonna. Anche nella scelta delle ambientazioni provinciali, c’è l’esigenza di sdoganare un pregiudizio comune. Si pensa che nelle grandi città si trovino persone mentalmente più aperte che nei paesini: non è così, non sempre. Gli abitanti di un paese sono in grando di accogliere le diversità, capiscono le complessità e sono disponibili ai cambiamenti molto più di un abitante di città, dove si deve fare i conti con una grande ostilità a tratti retrograda. Poi, amo la mia terra d’origine e il vino di quelle parti, in particolare la falanghina sannita e volevo raccontare la storia di questo particolare tipo di uva da cui trae origine il vino».

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