Nunzia Schiano: «Tra Siani e Gomorra, le mie sfide da attrice»

«Vorrei mettermi alla prova su qualcosa di diverso, un attore non deve mai sentirsi arrivato»

Nunzia Schiano sul set
Nunzia Schiano sul set
di Titta Fiore
Martedì 26 Marzo 2024, 07:00 - Ultimo agg. 27 Marzo, 06:50
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Dal teatro di ricerca ai film internazionali di Netflix passando per la musica popolare, il cinema d'autore con Garrone e De Angelis, i grandi successi al botteghino come «Benvenuti al Sud» e «Benvenuti al Nord» con Siani, i classici di Eduardo e molte incursioni nella lunga serialità, tra «Il commissario Ricciardi», «I bastardi di Pizzofalcone» e «Gomorra»: è un mosaico coloratissimo la carriera di Nunzia Schiano, attrice di lungo corso che non ama essere ingabbiata nei generi. Dopo «Lolita Lobosco» su Raiuno, dove è stata Andreina, l'irresistibile vicina impicciona di Lunetta Savino e di Luisa Ranieri, tra qualche giorno sarà in Toscana, sul set di «La dolce villa», una «romantic comedy» di Netflix America con Scott Foley, il divo di «Scandal», e la regia di Mark Waters. «Sono un'interprete per certi versi atipica» dice, «ho una mia unicità, nel bene e nel male il mio essere attrice è estremamente personale». E questo ha consigliato ai giovani autori di Cortinametraggio, il festival del cinema breve guidato da Maddalena Mayneri: di essere liberi. «C'è in giro un gran fermento creativo, ma forse bisognerebbe puntare un po' di più sulla scrittura, liberandosi dal canone».

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Per lei com'è andata?
«Non ho una formazione accademica, però mi è sempre piaciuto stare sul palco, anche da bambina all'oratorio non mi facevo pregare.

Ho cominciato a frequentare il teatro a 17 anni al liceo Orazio Flacco di Portici, lo stesso di Enzo De Caro. Siamo amici da allora. Poi ho avuto incontri importanti che mi hanno aperto le porte di un mondo di studio e di rigore».

Quali?
«Una delle cose che mi folgorò fu vedere Maria Luisa Santella in scena, aveva una fisicità non comune e faceva personaggi fuori standard. Mario Santella diede spazio alla nostra compagnia di giovani: Io montavo anche le scene, ho fatto la macchinista, l'elettricista».

Una bella gavetta.
«Bella tosta. Facevamo tournée di musica popolare e in quel periodo ho conosciuto Annibale Ruccello e Francesco Silvestri. Poi Antonio Allocca mi offrì di interpretare Viviani e debuttammo al Cilea. Viviani l'ho sempre adorato, da ragazza lo preferivo a Eduardo».

Con Enzo De Caro conobbe anche il resto della Smorfia? Che ricordi ha di Massimo Troisi?
«Ricordo che una volta andai a vederli a Napoli, al Sancarluccio, e rimasi a sbirciare dietro le quinte perché il teatro era strapieno. Massimo era riservato, mi metteva un po' in soggezione Quando doveva essere operato al cuore negli Stati Uniti, a San Giorgio a Cremano e a Portici partì una raccolta fondi e anche le nostre scuole parteciparono. Per la mia generazione La Smorfia ha segnato un passaggio epocale, avevano una comicità dirompente. Sono stati anni belli, di grande fermento. Anni con un'idea più rosea di futuro».

Torniamo agli incontri determinanti per la sua carriera.
«Per il teatro Renato Carpentieri, un maestro, nel cinema Carlo Vanzina che mi volle in “Vacanze di Natale 2000” e in “South Kensington”. Carlo ti faceva sentire valutata nella giusta maniera, per me è stato importantissimo. Ma ho lavorato molto bene anche con gli altri, da Matteo Garrone a Edoardo De Angelis, da Luca Miniero a Francesco Amato».

Con «Benvenuti al Sud» è arrivata la grande popolarità.
«È cambiata la percezione della gente, ovunque siamo accolti con un sorriso. Ancora oggi, dopo anni, per quel ruolo di mamma chioccia mi fermano per strada nei posti più impensati».

Nella serie «Gomorra», invece, è stata la cattivissima moglie di un boss.
«A volte si avverte la necessità di toccare altre corde, però io parto sempre dai sentimenti. Il dolore della perdita ogni volta è uguale, anche se sei una criminale. Cambia il modo di reagire. In “Gomorra” il mio personaggio non cerca giustizia, ma vendetta. In qualche modo mi sono ispirata all'immagine di Rosetta Cutolo, che aveva uno sguardo glaciale».

Si sente una caratterista?
«È una definizione che oggi non ha più senso. Non faccio un carattere, cerco di dare un'anima a personaggi gregari. Capisco la logica produttiva. E, nelle pieghe, mi concedo la libertà di interpretare cose diverse, come il reading “Mater Purgatorii” che ho tenuto all'Efestoval con la regia di mio figlio Francesco Mucci: una via crucis in tre stazioni chiusa con i cinque sonetti di Eleonora Pimentel Fonseca in morte del figlio, molto toccanti».

Il suo film più importante?
«Dal punto di vista sentimentale “Sul mare”, per l'incontro con il regista Alessandro D'Alatri: aveva un grande amore per gli attori, tra noi è nata un'amicizia profonda. “Reality” e “Dogman” di Garrone mi hanno dato visibilità, consentendomi di andare persino a Cannes. Per la popolarità ancora oggi ringrazio “Benvenuti al Sud” che ha messo in moto un mondo».

Dopo 35 anni di carriera, a cosa aspira?
«Vorrei mettermi alla prova su qualcosa di diverso, un attore non deve mai sentirsi arrivato. Vorrei qualcosa capace di sorprendermi. Sono curiosa del nuovo».

Ha rimpianti?
«No, i rimpianti rovinano la vita. Se una cosa non è andata, meglio metterci una pietra sopra e non pensarci più». 

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