Pupi Avati cade e si ferisce ad Ancona
poi parla di talento agli industriali

Pupi Avati si tocca il ginocchio dolorante
Pupi Avati si tocca il ginocchio dolorante
Sabato 23 Novembre 2013, 12:21 - Ultimo agg. 13:27
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ANCONA Ruzzolone e confessione per Pupi Avati ad Ancona, davanti a una platea di industriali. Il regista, ieri sera, è caduto mentre saliva sul palco per prendere la parola al Forum Interregionale dei Giovani Imprenditori di Confindustria alla Mole Vanvitelliana. E' scivolato sui gradini e si è rialzato con un ginocchio dolorante. Ha comunque tenuto - in piedi, seppur toccandosi la gamba - un lungo e applaudito intervento, durante il quale ha anche scherzato sull'episodio: «A me piacciono i fallimenti, le brutte figure, come questa caduta - ha chiosato -. Vorrà dire che domenica non gioco...».



All'uscita però si è accorto che aveva anche un dito ferito e si è allontanato per andare in farmacia. Durante il suo intervento ha spiegato che cosa è il talento agli imprenditori. Cosa distingue una persona dall'altra? Il talento: «Pochi giorni prima ero un venditore di prodotti surgelati, spinaci, merluzzi, e dopo un attimo ero un regista che ha fatto 56 film».



Un Pupi Avati intimo, dai toni dolci-amari, brillante nonostante il piccolo incidente quello che ha intrattenuto la platea dei giovani industriali di Confindustria. «Mi credevo anche un clarinettista imbattibile e poi, invece, un piccoletto è sceso come lo spirito santo e mi ha portato via il sogno della mia vita. Era Lucio Dalla, un grande, straordinario poeta. Ho dovuto rinunciare. Ho provato a ucciderlo - ha scherzato - buttandolo giù dalla Sagrada Familia».



Ma niente: «lui aveva più talento di me, e ho capito che senza talento la vita, il lavoro, non hanno senso. Ma dobbiamo essere riamati dal lavoro». «Il talento - ha continuato Avati - è in ognuno di noi, è la nostra identità. Se non facciamo coincidere il talento con ciò

che facciamo, trascorriamo i 30-40 anni più importanti della nostra vita attiva come in galera. Spesso mi sono incontrato-scontrato con persone che non hanno talento ma tantissima passione. Molti attori hanno cominciato con me ed erano pessimi. Lo sono tuttora: questo è un lavoro in cui l'apprendimento non conta».



Ma ciascuno ha il proprio talento: «Ai miei figli ho detto: dovete trovare un lavoro che vi riami. E dobbiamo cercare il nostro talento anche per avere un'interazione profonda con i nostri collaboratori». Fu Tognazzi - ha raccontato il Maestro, in un sapido aneddoto - a insegnarmi il modo di approcciare qualcuno al primo incontro: esordire con una prova di debolezza. Quando ci conoscemmo, mi disse come la sera prima, in un incontro (galante, ndr), e lui era un appassionato di incontri, non andò bene. Mi chiesi: perchè una persona che non mi conosce mi

racconta una cosa simile? Qual è il secondo fine? Poi ho capito che mi sarei dovuto intonare, raccontare a mia volta un fallimento. I fallimenti, le figuracce, come la caduta che ho fatto, mi danno ebbrezza. Con i miei collaboratori mi espongo totalmente: quando si respira tutti allo stesso ritmo, sento di essere riuscito nel mio ruolo».



«Nella cultura contadina da cui provengo - ha detto infine - la vita è una collina che tu sali senza sapere cosa c'è dall'altra parte. Quando sei arrivato sulla sommità ti giri e vedi quello che hai fatto, e davanti quello che ti aspetta, che è molto meno interessante. Questo è lo "scollinamento". Io sono arrivato al quarto quarto del percorso, e alla nostalgia della giovinezza si è sostituita la nostalgia dell'infanzia. Cosa mi fa essere vicino ai bambini? La loro vulnerabilità», ha affermato il regista ricordando anche il suo ultimo tv movie, "Il bambino cattivo".



«I bambini e gli anziani sono vulnerabili e quindi più sensibili. Viviamo in una società - ha concluso - in cui vincono le persone forti. Io sono attratto da quelle deboli, dagli sconfitti».