Emiliano Pepe è Black Capuozzo: «Il napoletano oggi si scrive come si canta»

«Sono stanco delle questioni di genere, nella musica il sesso conta davvero poco, anzi: zero»

Emiliano Pepe
Emiliano Pepe
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Sabato 18 Novembre 2023, 12:00
3 Minuti di Lettura

Il singolo di lancio, «Primm tu», è una ballad nu soul newpolitana, pianistica, alla ricerca del falsetto proibito, della veracità dell'emigrante, della voce sull'orlo di una crisi di cuore. Farà bella figura in un album intrigante sin dal titolo, «Black Capuozzo», in uscita l'8 dicembre, tra altri brani in dialetto (strepitosa «Vogl crescer cu tte»), in italiano, in inglese, tutte lingue dominate benissimo, in fase di scrittura come di canto, da Emiliano Pepe, napoletano a Milano, classe 1978, pianista e producer, già collaboratore di Rocco Hunt, Dargen D'Amico, Clementino e Club Dogo. In questo nuovo album sceglie una strada minimale (non minimalista), essenziale, fatta di canzoni nude o comunque poco vestite, sospese tra radici natie e radici acquisite. A suo modo è un lavoro urban, ma, soprattutto, tesse il filo interrotto con gli anni Settanta-Ottanta di Pino Daniele e Alan Sorrenti, tentando un'operazione simile e contraria a quella provata dal Neffa di «Amarammore».

Che titolo è «Black Capuozzo»?
«Ho chiesto a una mia amica drag queen come si sceglie il nome d'arte su quel fronte.

Mi ha detto, ma l'avevo già sentito dire in un film, che si prende il nome del cane o del gatto che abbiamo avuto da bambini e il cognome dalla via in cui abitavamo all'epoca. Io stavo in via Gennarino Capuozzo».

L'eroico scugnizzo delle Quattro Giornate di Napoli. Ma perché un nome da drag queen in un disco lanciato da un pezzo dedicato a tua moglie, La Pina?
«Sono stanco delle questioni di genere, proprio come lei. Siamo a-gender e, soprattutto in musica, il sesso conta davvero poco, anzi: zero».

«Agg pers n'at occasion pe' me fa vulè cchiù ben. Primm tu po' o' riest, Primm tu po' o' sol, Primm tu o nisciun, Primm tu o rest a sul»: scrivi nel dialetto contratto dei trapper, dei neomelodici, della generazione urban.
«Scriviamo come cantiamo, e credo sia una bella rivoluzione. Il napoletano è tornato lingua nazionale della canzone, magari un po' di merito è anche mio, ma non deve complicare la vita a chi lo scrive, a chi lo ascolta e canta magari fuori da Napoli con complicati segni fonetici, con apocopi, elisioni ed altre storie simili».

I linguisti non saranno d'accordo, ma il dibattito ormai è aperto e la tendenza vincente è inequivocabile.
«Ma sì, Geolier e Liberato non sono passati invano».

In compenso alla tradizione melodica rendi omaggio con una gran bella versione di «I' te vurria vasa'», nuda e cruda, appoggiata su un bordone pianistico, quasi ossessivo, eppure rispettoso del capolavoro del 1900 firmato Vincenzino Russo ed Eduardo Di Capua. Quale versione hai usato come riferimento?
«Nessuna, anzi quella di Roberto Murolo. Lui è l'unico riferimento possibile, ti serve la canzone com'è, gli altri tra prove vocali ed arrangiamenti improbabili e terzinati la fanno alla loro maniera e tu devi spogliare il brano di tutto per trovarla. Con Murolo il brano è sempre nudo, magnificamente nudo».

Ma che pubblico ti aspetti per «Black Capuozzo»?
«Uomini, donne, bambini, vecchi, drag queen... Non penso al marketing, ma alle emozioni». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA