Mondo Marcio con Mina per spiegare che il rap non è cosa per ragazzini

Mondo Marcio con Mina per spiegare che il rap non è cosa per ragazzini
di Federico Vacalebre
Venerdì 11 Aprile 2014, 23:56 - Ultimo agg. 12 Aprile, 08:20
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Nella bocca della tigre, visto che il felino quello canoro nato a Busto Arsizio, possono succedere cose inattese, come l’incontro tra una strofa di The message, il brano con cui Grandmaster Flash present al mondo il rap, e la Voce di Nostra signora della canzone. Mondo Marcio, che Massimiliano Pani ormai chiama affettuosamente Marcio ma all’anagrafe Gian Marco Marcello, parla addirittura di un miracolo, ma lui di parte, sua l’idea di costruire un intero disco intorno a campionamenti di Mina. Un lavoro sorprendente in ogni caso, che per soddisfare l’appeal melodico del canzoniere prescelto rallenta le rime e pecca di monoliticità nei groove e nei beat, ma in qualche modo dimostra come il nostro hip hop non debba per forza essere un’anomalia: se il campionamento storico della old school newyorkese era il giro di basso tratto da «Sex machine» di James Brown, che cosa di più normale/inevitabile per un rapper italiano di lavorare su «Parole, parole, parole»? «Quello, però, è l’unico successone scelto», spiega il ventisettenne milanese, «per il resto ho selezionato brani magnifici, ma non cos’ ultranazionalpopolari. Questo non è un disco di duetti, né di cover, né un disco-tributo, per quanto Mina meriti qualsiasi tributo e da artisti ben più importanti di me, ma un disco di rap nato da un interrogativo: mi sono chiesto che cosa potessi fare per abbattere il pregiudizio degli adulti sull’hip hop italiano? Per molti, nonostante il successo del momento, «si tratta al massimo di ritornelli orecchiabili, rime simpatiche, ma per ragazzini. Così ho scelto di partire da Mina, che ho scoperto in casa da bambino ed ho sempre ammirato e seguito. Ho scritto un brano centrato sul campionamento di ”Un bacio è troppo poco” del ’65, l’ho spedito a Lugano senza sperare nemmeno che mi rispondesse, ma poi...».

Ma poi, il ragazzo arrivato oggi al sesto album ha ricevuto una telefonata: «Il numero che mi chiamava non appariva sul cellulare, ero maldisposto ed ho risposto con un pizzico di antipatia, ma dall’altra parte c’era lei che mi diceva: ”Ciao, sono la Mina! Mi è piaciuto il tuo brano, perché non facciamo un album?”».

E così è successo. E, se non è un miracolo, di sicuro è una novità: «Mia madre non ha mai concesso il suo repertorio ai tanti che le hanno chiesto di firmare remix dei suoi pezzi, che poi non vuol dire altro che aggiungere un basso e una batteria a qualcosa che già esisteva», spiega Pani, che ha dato una mano a far crescere il progetto: «Marcio, invece, ha realizzato qualcosa di nuovo da quei pezzi, in alcuni casi abbiamo recuperato i nastri originali, li abbiamo cotti e fissati perché non si distruggessero e poi li abbiamo suonati, digitalizzati e... via con il rap».

Quel «qualcosa di nuovo» che la rivelazione di «Dentro alla scatola» cercava da tempo era trovato: c’erano i campionamenti giusti, ora bisognava capire come usarli: «L’hip hop in America è stato voce dei senza voce, megafono del ghetto nero e delle lotte antirazziste. Io sono cresciuto con Jay-Z, Notorious Big, Nas, Ice Cube: erano quasi figure paterne per me che crescevo senza un punto di riferimento maschile in famiglia. Nel fare qualcosa contro la concezione sminuente del rap considerato come genere amato solo dai ragazzini i è venuto in mente come tanti versi hip hop fossero dedicati alla figura dell’”hustler”, all’uomo di strada capace di arrangiarsi, arte italiana da sempre, ma più che mai utile in tempi di crisi e di partito unico: il ventennio berlusconiano sarà finito, ma tra le macerie, e se Silvio deve pagare, e a caro prezzo, gli altri non sono meno colpevoli di lui».

Mondo Marcio finora se l’è cavata da solo arrangiandosi: «Nella bocca della tigre» è il suo omaggio alla figura dell’«hustler», quasi un concept album che «parte dall’ugola suprema, le melodie, ma anche e soprattutto i testi di Mina, spesso voce di passioni estreme e perdenti. Lei ha fatto quaranta anni prima quello che Lady Gaga e Madonna hanno fatto poi.

Non parliamo di cover, ma di rielaborazioni, reinvenzioni, riletture: da «Un bacio è troppo poco» a «Bugiardo e incosciente» (che diventa, «Il richiamo»), da «Fosse vero» che ispira «Meno fragile» a «Senza umanità/La fiera delle vanità». A volte il gioco è riuscito, altre sembra un sovrapporsi posticcio di cose che non stanno bene insieme. Il flow è fluviale ed arrabbiato, sospeso tra risentimento personale, sdegno politico e i soliti regolamenti di conto interni al mondo del rap.

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