Sergio Bruni, 20 anni fa la morte nel silenzio della città

Vent'anni dopo del cantore partigiano che Eduardo definì icasticamente «'a voce e Napule» è rimasto ben poco

Venti anni senza Sergio Bruni
Venti anni senza Sergio Bruni
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Giovedì 22 Giugno 2023, 11:00
4 Minuti di Lettura

Quell'anno fu letale per il piccolo mondo antico di cantaNapoli. Il 13 gennaio 2003 se ne andò Roberto Murolo, il 22 giugno Sergio Bruni: un anniversario esatto, caduto nel silenzio, come quello del figlio di don Ernesto, che la Napoli neoidentitaria e triscudettata non conosce le radici da cui potrebbe far crescere le sue ali.

Vent'anni dopo del cantore partigiano (la gamba destra portò per sempre il segno della sua partecipazione alle Quattro giornate con cui la città si liberò dal nazifascismo), dello chansonnier di Villaricca che Eduardo De Filippo definì icasticamente «'a voce e Napule» è rimasto ben poco.

Le iniziative della famiglia, qualche ristampa, qualche canzone difesa con i denti dagli ultimi carbonari della melodia verace: «Carmela» naturalmente, «Ammaro è o bbene», ma anche «'Na bruna», barcarola d'amore e morte che i neoposteggiatori del turismo di massa qualche volta infilano in un repertorio neo-oleografico in cui i classici convivono con i motivetti napulegni di rito moderno. C'è voluto il coraggio di don Salvatore, pardon Raiz, anche se oggi per strada lo chiamano tutti con il nome del personaggio che interpreta in «Mare fuori», per dedicargli un album intero, «Si ll'ammore è o ccuntrario d''a morte», diviso con i Radicanto. E Bocelli, si sussurra, potrebbe presto incidere «Carmela». 

Salvatore Palomba, il poeta dell'ultima fase creativa del maestro, riflette come sempre con lucidità: «Le canzoni invecchiano, sono figlie del loro tempo, anche quelle che abbiamo scritto con Sergio. In sua memoria qualcosa è stato fatto, soprattutto a Villaricca con una manifestazione destinata alle scuole, e il disco di Raiz è un eroico atto di passione. Ma... manca un premio, intitolato a Bruni, magari insieme con Murolo: sono stati i due simboli, i due divulgatori, i due difensori, i due estremi del Novecento napoletano, senza di loro probabilmente oggi nemmeno staremmo più a parlare della canzone classica partenopea. Le istituzioni tutte - locali come nazionali - invece di seratine spot o di francobolli spot dovrebbero pensare a un Premio Bruni, o Bruni-Murolo se preferite, o ancora Murolo-Bruni, non è questione di primato, che resti e diventi importante come il Premio Tenco, come il Premio Montale, che ricontestualizzi l'arte della canzone napoletana. Quella classica, quella che loro due hanno servito per ultimi, dopo è avanzata la globalizzazione, è cambiata la canzone e, nel bene come nel male, è diventata tutta un'altra cosa».

C'era un tempo, e ce lo ricorda sempre una scena cult di «Operazione San Gennaro», in cui Napoli si bloccava quando cantava Bruni. Oggi Sergio canta solo dai dischi, non esiste un archivio o un centro studi a lui dedicato, e la città si blocca quando si gira «Mare fuori». Eppure anche quella Napoli così amata dai ragazzi è figlia di quella «rosa, preta e stella» che una voce venuta dalla campagna ha difeso con sapere antico e consapevolezza contemporanea. Nel suo (in)canto libero, in quei fonemi nati come canti a distesa e poi educati, ma non troppo, nelle fioriture e nelle corone di cui fece profusione nel periodo dei Festival di Napoli, e poi nel rigore assoluto della collaborazione con Roberto De Simone, nella sfida ai soloni snob da cui nacque l'exploit di «Carmela», c'è la trincea in cui il napoletano, lingua per eccellenza della canzone, ha resistito sino a ritrovare l'attuale momento d'oro: commerciale se non creativo.

Intanto, mentre i suoi vecchi vinili, religiosamente conservati, suonano nelle case di una Napoli che se ne va ma non vorrebbe, ci viene in soccorso una poesia che «'a voce e Napule» scrisse qualche mese dopo il terremoto del 23 novembre 1980, sognando una vittoria calcistica di riscatto per l'intera città e regione: «Vincimmelo na vota nu scudetto/ facimmelo sta vota a guapparia/. Ce penzo e già me sbatte o core npietto,/ chist' è o mumento ca ce vularria./ Pare ca già' e vveco mmiezz''e strate/ e guagliune ca corrono a migliare,/ cu e strisciune, cu e macchine addobbate/ e cante e suone e spare nquantità./ Ca doppo tutto chello cca è succieso/ certo ce vularria na gioia e chesta,/ chisà ca' dint' a nu mumento e festa/ e ccose nun s'avesser' a cagna'».

Non successe quando arrivò, nel 1987, il primo scudetto. Ora siamo al terzo, sarebbe bello se questa «guapparia» ci permettesse almeno di rendere onore e merito al maestro Sergio Bruni, di ridare radici e ali all'arte della canzone napoletana. Ah già, il titolo di quei versi era «'Nu suonno». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA