I fantasmi di Napoli al Louvre, una tammurriata nera

Lina Sastri canta «Napule è» o «Tammurriata nera» con potenza carnale

I fantasmi di Napoli al Louvre di Parigi
I fantasmi di Napoli al Louvre di Parigi
di Titta Fiore
Domenica 2 Luglio 2023, 09:00 - Ultimo agg. 3 Luglio, 07:57
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Chi sono, «I fantasmi di Napoli», se non le mille voci della sua cultura stratificata, barocca, sempre in bilico tra passato e presente e sempre accesa nel gioco di sponda tra la vita e la morte, l'identità e l'altrove, le luci e le ombre? E chi, se non Eduardo De Filippo, con le sue voci di dentro dense e fantasmatiche, per rappresentarli al meglio nell'ideale cantiere sulla cultura europea che il Théâtre de la Ville diretto da Emmanuel Demarcy-Mota e il Teatro della Pergola di Firenze guidato da Marco Giorgetti stanno portando avanti anche in occasione della grande mostra sui capolavori di Capodimonte esposti al Louvre?

In questi giorni (e fino a stasera) i fantasmi di Napoli, con tutto il loro carico di suggestioni palpitanti di arte, letteratura, poesia, musica, immagini, tradizioni hanno conquistato il Louvre, si sono confusi nella Grande Galerie tra i capolavori di Capodimonte in trasferta a Parigi, sussurrando parole incantate di poesia con la voce dei giovani attori mescolati tra il pubblico stupito da Masaccio, Tiziano, Raffaello, Bellini, Lotto, Parmigianino e dalla monumentale Flagellazione di Caravaggio.

Davanti alla Gioconda, per una volta miracolosamente libera dall'assedio della folla, i fantasmi di Napoli hanno suonato al mandolino melodie d'amore piene di nostalgia prima di ritrovarsi tutti, incarnati da attori di lunga esperienza eduradiana, nell'elegante Cour Lefluel dal doppio scalone di marmo trasformata per la prima volta in palcoscenico grazie alla magia del teatro.

Qui, con la regia di Demarcy-Mota e la drammaturgia di Giorgetti, mescolandosi ad attori francesi tra echi di Pirandello, Pessoa e Shakespeare, Lina Sastri è stata Filumena e ha cantato «Napule è» o «Tammurriata nera» con potenza carnale; qui Mariangela D'Abbraccio ha cesellato i versi di «O mare» legati alla musica di «Chi tene o mare» e ha trasmesso l'emozione del testamento artistico di Eduardo a Taormina, mentre Ernesto Lama si è diviso con vigore tra il monologo del caffé in «Questi fantasmi!» e la struggente «Uocchie c'arraggiunate» e Francesco Cordella, cresciuto alla scuola di Strehler e di Bob Wilson, ha trasformato il suo Pulcinella, maschera duale per definizione, nel trait-d'union capace di legare anche solo con uno sberleffo le diverse anime dello spettacolo.

Perché era importante partire dall'idea dei fantasmi per parlare del teatro eduardiano e della cultura napoletana, Demarcy-Mota? «Perché a Napoli il passato è presente anche se non sempre è visibile. Parigi ha un grande passato museale, visibile e chiaro, è una città cartesiana. A Napoli il passato è più sinuoso, si mostra per vie tortuose e tutto ciò rende il suo mistero ancora più profondo». Per il Théâtre de la Ville il regista ha già messo in scena lo scorso inverno «La grande magia»: «Il Louvre mi aveva proposto di riprendere quell'allestimento, ma io volevo andare oltre, approfondire altri testi. Sento come un obbligo morale far conoscere il magistero drammaturgico di Eduardo nel mondo». Per questo spettacolo racconta di essere partito dal suono delle lingue e dalla gestualità. Dice: «Il gesto è un linguaggio non verbale molto costruito, che cambia da lingua a lingua. È tecnica e pensiero. È qualcosa di iscritto nel profondo di ogni cultura e di ciascuno di noi. I gesti che gli attori ogni sera compiono in scena vengono da lontano, non sappiamo neppure come. Non succede così anche per i fantasmi?».

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Da sempre Demarcy-Mota lavora sulle lingue teatrali d'Europa. Nel 2008 ha portato a Napoli, per il Teatro Festival, un allestimento della shakespeariana «Pene d'amor perdute» in portoghese e da qualche tempo è impegnato con Firenze in un progetto sul dialogo con le culture africane. Quanto a Eduardo, lo definisce «una pietra angolare» alla base della grande drammaturgia del vecchio continente e considera quasi una missione far conoscere la sua arte al grande pubblico francese. «De Filippo è uno e unico, ma allo stesso tempo è plurale» spiega. «Questa sua caratteristica mi attrae enormemente. È una figura che può perturbare la lettura francese del teatro del dopoguerra, rimasta brechtiana. Eduardo se ne distacca, al pari di Ionesco, dunque è necessario. La sua è una perturbazione cosmica, un campo magnetico sulla corrente dominante, e lavorare controcorrente è sempre stato importante per me». Alla fine dello spettacolo, prima di una travolgente «Tammurriata nera» fatta da tutti gli attori, italiani e francesi, il regista ha voluto che nella Cour risuonasse la voce di Eduardo nel suo testamento artistico, in un'ideale trasmissione di saperi e di sentimenti. Avrà un futuro «I fantasmi di Napoli»? «Non lo so, noi abbiamo gettato un seme. Ma tutto dipende dal desiderio degli altri». 

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