Kuro Tanino al teatro Bellini di Napoli: «I miei gruppi di famiglia in un interno giapponese»

«Qui la gente è brillante e allegra, mi piace la visione del mondo che ha Eduardo De Filippo»

Kuro Tanino
Kuro Tanino
di Luciano Giannini
Mercoledì 21 Febbraio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 22 Febbraio, 07:27
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È nato nel 1976 in una famiglia di psichiatri. Ed egli stesso lo era fin quando... «nel 2011 il Giappone subì un forte terremoto, con danni inimmaginabili. Io ne uscii indenne. Alcuni amici e colleghi ebbero sorte peggiore. Da quel momento cominciai a riconsiderare me stesso: come avrei potuto trascorrere il resto della mia breve vita? E decisi di cambiare pagina, scegliendo una carriera inaspettata: in teatro». Kuro Tanino è uno dei maggiori registi del Giappone. Disegna, scrive e dirige le produzioni della sua compagnia Niwa Gekidan Penino (Garden theatre company Penino), perché è anche pittore e scultore; l'artista giusto, insomma, da invitare al Bellini, che da anni concreta la visione di un teatro attento alla scena internazionale. Da stasera a domenica la sala dei fratelli Russo ospiterà «Fortress of smile» (Fortezza del sorriso), che Kuro Tanino ha scritto e diretto, spettacolo in giapponese con sopra-titoli in italiano e inglese.

Parafrasando il film di Visconti, potremmo definire la pièce «gruppi di famiglia in un interno»: Kuro: «La storia è ambientata in di una cittadina rurale abitata per lo più da pescatori.

Il Capitano vive da molti anni nella stanza di un vecchio condominio. Là riceve amici per bere e divertirsi. In quella attigua (e vuota) si trasferisce una famiglia, dove c'è un'anziana donna che soffre di demenza, aiutata dal figlio e dalla nipote. Da quel momento, a poco a poco, la vita dei pescatori cambia; e cambiano i componenti della famiglia, a mano a mano che la demenza peggiora; così come le stanze, quasi entrassero in risonanza con loro. Nel processo di mutazione le emozioni nascoste dei personaggi vengono alla luce».

Per preparare «Fortress of smile» Kuro Tanino ha disegnato le due stanze. Mr. Kuro, lei usa gli storyboard per costruire i suoi testi. Perché? «È una tecnica utile a chiarire l'immagine, che diventa più dettagliata e profonda, disegnando non soltanto le parole, ma anche luci e suoni». Un'altra caratteristica del suo teatro è il gusto per il surrealismo e l'umorismo, frutto delle lezioni di Marcel Duchamp, che di quel movimento fu una icona indiscussa; e di Juro Kara, drammaturgo e romanziere di Tokyo, tra gli esponenti maggiori del teatro d'avanguardia anni 60: «Quando ero giovane, frequentavo lezioni di disegno in una scuola privata. Grazie al mio insegnante, conobbi Duchamp e mi intrigarono le sue opere, la sua visione di vita e d'arte. Quanto a Juro Kara, cominciai a fare teatro dopo aver visto un suo lavoro, che mi turbò molto. È difficile esprimere lo stato d'animo, perché entrambi appartengono alla mia esperienza giovanile, ma, al di là del terremoto di cui parlavo, entrambi spiegano il motivo per cui cominciai a esprimermi attraverso il teatro. E continuo ancora oggi...».

Non può mancare una domanda su Napoli, capitale della scena italiana: «Non ne so molto, ma intuisco che “Fortress of smile” ha con lei molte cose in comune». Quali? «La gente, brillante e allegra; una ricca cultura gastronomica, che nel mio lavoro si diffonde dal porto; un dialetto forte; e una città che invecchia. Questo potrebbe avere qualcosa in comune con la visione del mondo che ha Eduardo De Filippo».

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Partenope cosmopolita abbraccerà il Sol levante anche all'università. Il Bellini, infatti, assieme all'Orientale ha organizzato l'incontro «Kuro Tanino, il Giappone a Napoli», dopodomani alle 11 nell'aula delle mura greche, a palazzo Corigliano, in piazza San Domenico maggiore 12 (ingresso libero). Oltre ad alcuni attori della compagnia, interverranno Gala Maria Follaco, docente di letteratura del Giappone; Claudia Iazzetta, esperta del suo teatro; e Giuseppe Strippoli, in veste di interprete. Modererà Alfredo Angelici, direttore creativo del Bellini. Tra i temi in discussione, il confronto tra due antiche culture e il metodo Kuro, che lavora con gli attori «aspettando che crescano, grazie alla stessa pazienza che si usa con i bonsai». 

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