Roberto Giacobbo: «Ho sfiorato la morte con il Covid. Ad Alberto Angela non invidio niente. Barbara D'Urso via? Nulla di straordinario»

Il noto divulgatore di Italia 1: «Sono finito in rianimazione e ce l’ho fatta per un pelo»

Roberto Giacobbo: «Ho sfiorato la morte con il Covid. Cosa invidio ad Alberto Angela? Niente. Barbara D'Urso via? Niente di straordinario»
Roberto Giacobbo: «Ho sfiorato la morte con il Covid. Cosa invidio ad Alberto Angela? Niente. Barbara D'Urso via? Niente di straordinario»
di Andrea Scarpa
Domenica 13 Agosto 2023, 00:09 - Ultimo agg. 14 Agosto, 16:51
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Negli Anni Ottanta Roberto Giacobbo, 61 anni, era una delle giovani voci comiche di un programma di successo di Radio Dimensione Suono, Questa casa non è un albergo. Faceva Gualtiero («romanissimo, diceva sempre che l’omo vero deve puzza’», racconta, «quella battuta, diventata un tormentone, l’ho inventata io...») ed EZ, il fratello piccolo di ET con la voce in falsetto («Eccomi. Sono io. Ti ricordi di me?»). E nel 1998 pubblicava anche Il libro degli strafatti. Le cento notizie più divertenti dell’anno (e le dieci migliori barzellette), firmandosi Bob Jacob («l’altro autore era Richard Moon, Riccardo Luna...»). Insomma, se la spassava. Adesso il popolare divulgatore televisivo è autore, produttore e conduttore di Freedom - Oltre il confine, in onda prossimamente su Italia 1 (sarà la quinta stagione), dopo che nel 2018 ha lasciato la Rai per andare a lavorare come libero professionista a Mediaset. 

Su Rai 2 nel 2018 con “Voyager” faceva 1 milione e 400-500 mila spettatori di media, su Italia 1 l’ultima puntata dell’8 maggio ha chiuso con 787 mila persone davanti alla tv: alla fine non era meglio restare a Viale Mazzini?
«Nooo... Va benissimo così. Sono molto al di sopra della media di rete: con me in prima serata Italia 1 è molto più vista che in passato. Siamo in crescita, soprattutto fra i giovani. E l’azienda mi ha appena rinnovato di un anno il contratto».

Allora si guarderà in giro alla prossima scadenza?
«No, e perché? A Mediaset sto bene. Insieme facciamo tanto - anche un giornale di approfondimento - e abbiamo altri progetti per il futuro: vendere il programma all’estero, per esempio».

Barbara D’Urso fatta fuori da Canale 5 è un fenomeno inspiegabile o no?
«Mi sembra un normalissimo avvicendamento professionale. Niente di straordinario».

Di questa azienda cosa deve capire al volo una come Myrta Merlino che a settembre prenderà il suo posto a “Pomeriggio Cinque”?
«Non saprei.

Il nostro è un mercato vivo. Merlino ha deciso di lasciare La7 per un altro programma, ed è sano che possa averlo fatto. Per lei sarà un’esperienza in più».

Nessun dirigente della nuova Rai l’ha cercata?
«Nessuno. E perché avrebbero dovuto farlo? La vita per me è una costante evoluzione: mi piacciono le sfide e quando ho lasciato la vicedirezione di Rai2 e un format di successo come Voyager l’ho fatto per non perdere tempo con la burocrazia, concentrarmi solo sul prodotto, e vivere meglio».

E anche per guadagnare di più, giusto? Non c’è niente di male ad ammetterlo.
«Certo. Ognuno di noi ambisce a migliorare, è normale, ma per me più dei soldi conta la qualità della vita: lavorare serenamente rispettando le persone con le quali si costruiscono i progetti, impiegare 40 professionisti - venti dipendenti, venti collaboratori - e avere più tempo da passare in famiglia. Ho anche sei bassotti a pelo duro...».

 

Appunto. Con sua moglie, Irene Bellini, autrice e produttrice tv è tornato a lavorare dopo quasi 25 anni (nel 1999 firmò con lei “Stargate” su Tmc): com’è andata?
«Bene. Lei ha una sua società dal 1999 e quando sono entrato in Mediaset l’azienda prima l’ha valutata e poi ci hanno affidato anche la produzione: facciamo tutto noi in un nostro centro a Roma».

Le sue figlie lavorano con lei? I Giacobbo diventeranno un’altra famiglia di divulgatori come gli Angela?
«Sì, ma nella parte amministrativa e di produzione. Sono laureate in Economia e commercio, e una di loro ha anche un master in neuromarketing. Prima insegnavo io a loro, adesso è il contrario».

Cosa invidia ad Alberto Angela su Rai1?
«Niente. Facciamo un bellissimo lavoro tutti e due. Condividiamo la stessa passione e la stessa fortuna». 
C’è ancora una Serie A e una Serie B della divulgazione televisiva? Angela da una parte, lei dall’altra?
«Chi fa la prima serata gioca sempre in Serie A e io lo faccio da 25 anni. L’ha deciso il mercato: per me come per Alberto Angela. Fra noi nessuna differenza, siamo tutti nella squadra della divulgazione. E io l’ho fatta ovunque: La7, Rai, Mediaset, e sempre con risultati superiori alla media di rete e sempre con la consapevolezza di fare servizio pubblico».

Quello formalmente lo fa la Rai.
«Il servizio pubblico non è qualcosa che si dà come un marchio, è quello che si realizza a esserlo o no. Purtroppo in Italia siamo in pochissimi a farlo». 

In passato è stato criticato per l’eccessiva spettacolarizzazione dei suoi servizi: quanto ha pesato questo per lei?
«Tutto serve per migliorare, con alcuni detrattori ci siamo anche chiariti. Ora abbiamo un gradimento molto alto: ce lo confermano anche i commenti sui social dei nostri Giacobbers».

Giacobbers?
«Sì. Quelli che ci seguono si sono definiti così, non l’ho fatto io...».

Crozza, invece, l’aveva ribattezzata Kazzenger: quanto le mancano le sue gag?
«Ahahahhah... Tanto. L’ho sempre trovato molto divertente».

Vi siete mai visti?
«Sì. In un hotel di Milano. È rimasto colpito dai miei due metri di altezza: “Se l’avessi saputo ci avrei costruito qualcosa...”».

Nel 2020 ha rischiato di morire con il covid: com’è andata?
«Non l’ho preso seriamente ed è stato il peggiore errore della mia vita. Sono stato contagiato subito, prima ancora di usare le mascherine, e stavo per morire. Respiravo male e sono stato ricoverato in rianimazione con altre quattro persone, e solo io ne sono uscito vivo. Sono salvo per un pelo. La cosa peggiore è che ho trasmesso il virus a tutta la famiglia. Esperienza terribile e indimenticabile».

Ha 61 anni: fisicamente è cambiato qualcosa?
«Non mi sembra».

Fa sport?
«No. Passeggio. Ho paura di rompermi qualcosa».

Insegna ancora all’università di Ferrara?
«Sono stato docente di Teoria e Tecnica dei nuovi Media, adesso mi hanno chiesto di tenere alcuni master e ho accettato».

Nel novembre 2017 è diventato Cavaliere della Repubblica: ha avuto altri riconoscimenti?
«Altri premi. E stasera diventerò cittadino onorario di Mandas, in Sardegna, una terra che amo».

Racconta ancora barzellette?
«Certo. Ne ho inventate tante che hanno fatto lunghi giri e poi sono tornate finalmente a casa quando qualcuno me le ha raccontate. Che soddisfazione... Ridere fa bene, aiuta a vivere».

Silvio Berlusconi le ha mai chiesto di scrivere una barzelletta?
«No. Purtroppo non l’ho mai incontrato».

Si definisce molto curioso: cosa la incuriosisce di più del nuovo corso politico?
«Ma io non ho tempo per queste cose...».

Non faccia il democristiano.
«Cosa posso dire? Mi fa piacere che ci sia un cambiamento... Il mondo moderno è veloce, sempre in movimento, e questo è il bello della democrazia...».

Va bene. La barzelletta che ha raccontato di recente e ha avuto piu successo qual è?
«Un bambino chiede alla mamma: “Da chi discendiamo?”. E lei: “Da Adamo ed Eva”. “Mamma, non è andata così. Papà mi ha detto un’altra cosa”. “Che cosa ti ha raccontato?”. “Che discendiamo dalle scimmie”. “Non preoccuparti, amore: una cosa è la famiglia di mamma, un’altra quella di papà”. Carina, no?». 

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