Capitan D'Angelo appende gli scarpini nove anni da lupo tra gioie e lacrime

A 38 anni vorrebbe indossare la tuta da allenatore o la giacca da direttore sportivo

Angelo D'Angelo
Angelo D'Angelo
di Titti Festa
Martedì 4 Luglio 2023, 09:25
4 Minuti di Lettura

La colpa è tutta della maestra Ernestina. «Eravamo alle scuole elementari e ci assegnò un tema dalla traccia: "Che volete fare da grandi? "Ma non rispondete giocatore o attore» ci disse. Io non la ascoltai e scrissi calciatore professionista. Ero già determinato da bambino, nessuno mi avrebbe ostacolato nel raggiungere i miei sogni».
Di tempo da allora ne è passato tantissimo: Angelo D'Angelo ora ha quasi 38 anni (li compirà il prossimo 18 settembre ndr) e ha dimostrato alla maestra Ernestina che aveva ragione lui.

Il calcio è stato e sarà sempre la sua vita anche se oggi ha lasciato le scarpette per indossare la tuta da allenatore o la giacca da direttore sportivo, questo non l'ha ancora stabilito. «Ho studiato e ottenuto il master da diesse: nelle lezioni e gli incontri che ho fatto sottolinea D'Angelo - la mia visione di questo sport è cambiata, si è ampliata.

In più grazie alla scuola calcio che ho aperto ad Ascea mi confronto ogni giorno con i bambini ed è meraviglioso ritornare a provare le emozioni sane, vere. A loro ricordo la storia della maestra: è un modo per invitarli a lottare per quello in cui credono».

Pro Velia, Cosenza e poi Voghera, Spal, Reno Centese, Gelbison e Turris prima della lunga parentesi ad Avellino, infine Casertana, Samb e Cavese. Perché ha deciso di abbassare il sipario? «È una scelta che ho preso con molta filosofia, ho capito che era la cosa giusta da fare e per questo ora voglio andare avanti, carico di nuovi stimoli e motivazioni».
Con quella maglia dei lupi addosso è passato dalla D alla B: il record di 258 presenze, 25 gol, 12 assist. 9 lunghi anni che è difficile raccontare con poche parole. «In questi giorni i ricordi, tanti, hanno bussato alla mia porta. Tra tutti ce ne è uno che ci tengo a svelare. Era il novembre del 2009 e l'allora direttore sportivo dell'Avellino Nicola Dionisio mi chiamò. Io dissi: non mi interessa la cifra, la stabilisca lei. Quando misi piede per la prima volta al Partenio Lombardi mi sentivo un puntino minuscolo, e quella sensazione per anni non mi ha mai abbandonato, nel senso che sono rimasto sempre umile: è stata la mia forza».

Quando ha incontrato Daniele De Rossi non ha trattenuto l'emozione. «Ero già con l'adrenalina a mille per tanti motivi: eravamo a Frosinone, per la sfida con la Roma ed in quel giorno arrivò la comunicazione che eravamo fuori dalla B. Ebbene Daniele sapeva che ero un suo grande fan e venne nello spogliatoio per parlarmi e conoscermi. L'umiltà appartiene ai grandi, chi fa il presuntuoso non andrà avanti nella vita».
In questa fase di bilanci e ricordi è inevitabile parlare di gol e persone che hanno segnato la sua carriera. «La rete alla quale sono più affezionato è quella con il Bari, in serie B, la prima tra i cadetti. Per motivi diversi i tre allenatori che mi hanno dato di più sono Rastelli, Tesser ed infine Novellino. Il compagno che ho amato di più in assoluto? Senza dubbio Castaldo. Eravamo in sintonia, avevamo lo stesso modo di pensare, non eravamo simpatici a tutti, ma abbiamo fatto la storia che al momento non è stata eguagliata in serie B. Avevamo lo spirito dei lupi nel sangue, la mentalità forte che una piazza come Avellino richiede».

Indossare la fascia di capitano non è da tutti, anche se forse molti non lo ricordano. «Chi ama l'Avellino deve far parte della società. Non vuol dire che voglio sponsorizzarmi, ma secondo me sarebbe giusto circondarsi di gente competente che ci tiene. Io penso di avere la stessa testa di Simone Puleo, mio amico e mio ex capitano, e non riesco a vederlo con lo scudetto del Benevento addosso: è come se Totti andasse a lavorare alla Lazio, non esiste».
L'ultima battuta è dedicata ai tifosi. «Prima di tutto non permetto a nessuno di chiamarmi traditore conclude l'ex capitano- perché io ho l'Avellino nel sangue e la verità è che nessuno mi ha mai chiamato per tornare. Bisogna essere meno leoni da tastiera ed avere più pazienza e rispetto per chi sta lavorando come Perinetti e per la proprietà che investe fior di soldi».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA