30 ottobre, il giorno di Maradona tra sogni e l'eterna 10: invia il tuo ricordo del Pibe

30 ottobre, il giorno di Maradona tra sogni e l'eterna 10: invia il tuo ricordo del Pibe
di Francesco De Luca
Domenica 30 Ottobre 2022, 08:30 - Ultimo agg. 17:41
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Il nostro cuore per Diego il 30 ottobre. È il giorno in cui nacque nel 1960, figlio di don Diego, che lavorava in un macello, e dona Dalma, che badava alla numerosa famiglia in una casa povera. Il nostro cuore per Maradona, che avrebbe compiuto 62 anni se non fosse stato strappato alla vita più dall’assurda incuria dei medici (e dalla carente assistenza dei familiari) che da un destino crudele. Oggi in edicola uno speciale in omaggio con Il Mattino, da non perdere. Invia il tuo ricordo personale del Pibe de Oro lasciando un commento a questo articolo.

Nelle strade di Napoli, tutti i giorni e a tutte le ore, si incrociano bambini che indossano le maglie azzurre o quelle a strisce biancazzurre (i colori dell'Argentina) con il numero 10. Le bancarelle ne sono piene, come accadeva negli anni Ottanta, quando cominciammo a vivere questa favola che ci sforziamo di non considerare conclusa, anche se sappiamo che Diego non c'è più e non lo rivedremo mai per un abbraccio. L'ultimo fu a inizio luglio nel 2017, quando il sindaco de Magistris consegnò la cittadinanza onoraria a Maradona.

Nessuno più di lui la meritava, al di là dei suoi problemi, della sua vita sbagliata, dei suoi rapporti con la MalaNapoli. Perché Diego aveva saputo finalmente realizzare un sogno e appagare l'ansia di riscatto della città. Era riuscito là dove negli anni avevano fallito l'imprenditoria e la politica.

Quello scudetto dell'87 ebbe un significato profondo: fece capire a chi viveva a Napoli che era possibile raggiungere il punto più alto, materializzando un'occasione che era stata negata in altri settori. Ed ecco perché, anche se sono passati oltre trent'anni dal secondo e ultimo tricolore, vi è un sentimento ancora forte verso tutti coloro che furono gli artefici di quel trionfo, a cominciare dal Capitano.

 

Sì, se vogliamo quella di Diego fu una sorta di lezione verso chi aveva maggiori responsabilità e maggiori poteri rispetto a un calciatore. Il migliore di tutti, il campione del mondo, ma pur sempre un calciatore. Chi ha vissuto profondamente male fuori dal campo come Maradona, può dare lezioni? Sì, perché non si è fermato alle promesse ma le ha realizzate e per questo ha guadagnato l'eterna riconoscenza dei napoletani, oltre che per quell'affetto che ha sempre ricambiato. I momenti di tensione tra Diego e il suo popolo sono stati rarissimi. Ricordiamo quello alla fine della stagione 88-89, quando aspirava a trasferirsi al Marsiglia e Ferlaino lo trattenne. La sua barba era sempre più lunga (il primo segnale dei suoi malesseri), le sue presenze al campo di allenamento a Soccavo sempre più rare. La gente se la prese e arrivò a fischiarlo in una partita al San Paolo. Ma quando nella primavera del 91 venne squalificato per doping furono davvero pochi a Napoli quelli che lo accusarono di tradimento: si parlò piuttosto di un complotto ordito da chi aveva subito l'affronto dell'eliminazione della Nazionale italiana nel Mondiale del 90 proprio da parte dell'Argentina. Ovviamente non vi era alcun complotto, con o senza virgolette: c'era un incontrollabile eccesso di cocaina da parte di un uomo malato e fragile.

L'omaggio più bello fatto a Diego dopo la sua morte è quello stadio che dal dicembre 2020 si chiama Maradona. Sarebbe stata comunque casa sua, tuttavia è stato importante l'atto burocratico coinciso con la volontà popolare, al di fuori di qualsiasi retorica. Lo stadio in cui festeggiò le ultime vittorie della sua carriera, lo scudetto e la Supercoppa del 90: neanche aveva compiuto 30 anni ma era avviato verso il declino fisico e professionale. Dopo la sua morte, era stato lanciato dal sindaco de Magistris il progetto di dedicare un museo a Maradona ed era stato individuato il Filangieri.

Un'idea rimasta tale ma che può essere rilanciata adesso, con il Napoli che sogna di riportare lo scudetto in città e con l'Argentina che si prepara per l'assalto alla Coppa del mondo, vinta per la seconda e ultima volta nell'86. Alla guida dell'Albiceleste c'era capitan Diego, che undici mesi dopo avrebbe festeggiato lo scudetto al Napoli. «La vittoria che sento più mia perché a Città del Messico non vinsi davanti ai miei tifosi, stavolta sì», disse negli spogliatoi del San Paolo il 10 maggio 87 mentre abbracciava i fratelli e il padre, vestiti con le maglie azzurre numero 10. Un museo per Diego. Anzi, con Diego, i tanti pezzi della sua storia e gli omaggi che gli rese la città nei giorni della felicità e del dolore.
 

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