Segui Il Mattino su Facebook, clicca qui
Giovanni Esposito fa fatica a raccontare. Vede il figlio Ciro accasciato, sofferente e ferito riverso sull'asfalto dello stradone di Tor di Quinto. «È un dolore enorme che non troverà pace finché tutti i colpevoli non saranno in carcere». Il cuore del suo ragazzo smetterà di battere dopo un mese e mezzo di speranza e di preghiere. Gli occhi del signor Giovanni, mentre rivede con noi il filmato, sono impietriti. È una prova enorme, quella a cui si sottopone: sa che in quei secondi il petto del figlio è sporco di sangue. «Solo per amore della giustizia e non per vendetta», ribadisce. Parla e rivive il calvario di Ciro, disteso su un letto d'ospedale, coperto di tubi e mani che tenteranno - invano - di salvargli la vita. Niente da fare.
Cosa capisce da queste immagini?
«Più che altro non capisco.
Cosa?
«Perché con la stessa rapidità non è intervenuta un'ambulanza? Io sono sicuro che con dei soccorsi più tempestivi mio figlio si sarebbe potuto salvare».
Lei è molto amareggiato. Con chi ce l'ha?
«Penso che lo Stato quel giorno non ha funzionato. Altrimenti mio figlio oggi sarebbe qui».
VIDEO: PARLA L'AVVOCATO DELLA FAMIGLIA
Che domande vorrebbe fare?
«Vorrei chiedere a quell'agente perché non ha preso da terra mio figlio, non se lo è caricato a bordo e portato velocemente in un pronto soccorso? Invece è passato un'ora fino all'arrivo dell'ambulanza».
Ma i suoi interrogativi non finiscono qui, immaginiamo?
«Certo. Vorrei sapere perché quando sono arrivati i soccorsi il primo ad essere trasportato in ospedale è stato De Santis anche se le sue condizioni non erano chiaramente così gravi come quelle di mio figlio? E poi perché De Santis al Gemelli e mio figlio al San Pietro dove non c'è una sala di rianimazione. E si è così perso altro tempo».