L'erede di don Mario, il pranzo a «dieci carte»

Passione per la tradizione culinaria avellinese e culto dell'ospitalità sono i segni distintivi della trattoria

Umberto Petrozziello
Umberto Petrozziello
di Stefania Marotti
Domenica 7 Maggio 2023, 12:34 - Ultimo agg. 8 Maggio, 10:41
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Passione per la tradizione culinaria avellinese e culto dell'ospitalità hanno fatto dell'Osteria "da Mario dieci carte", aperta dopo il terremoto a via Pironti, la trattoria del gusto. Mario Petrozziello e sua moglie Jolanda Vecchione accoglievano ricchi, borghesi e poveri con familiarità, intrattenendosi anche a mangiare con gli avventori, i quali, data la confidenza, prenotavano per il pranzo successivo richiedendo le pietanze preferite al prezzo, appunto, di "dieci carte", ossia diecimila lire. Ora, la tradizione familiare, i profumi, gli aromi, i sapori d'Irpinia si respirano nella nuova sede di via Pompilio Pirrotti, inaugurata nel 2018 poi chiusa per un periodo e adesso di nuovo in attività dalla scorsa settimana, dove l'insegna "Osteria da Mario tra tradizione ed innovazione", ha incuriosito nuovi avventori, riportando anche gli amanti della tavola dei tempi passati. Stessa atmosfera, stessa qualità, stessa accoglienza da parte dei figli, Umberto ed Ornella, quest'ultima dedita alla preparazione delle specialità tipiche con le stesse ricette di sua madre. Umberto Petrozziello, agente della Polizia Municipale di Monteforte Irpino e Messo Notificatore, ha iniziato a lavorare nell'Isochimica, la fabbrica dei veleni, nel 1984, rimanendo sempre il Public Relation Man della nuova attività di ristorazione.

Petrozziello, com'è nata l'Osteria da Mario?

«Da una felice intuizione di papà. La mia famiglia viveva a Contrada Bagnoli e mamma aveva tante sorelle, ognuna delle quali si dedicava ad un compito preciso in cucina. Così, papà ebbe l'idea di portare i sapori della nostra casa in città. Nel 1951 nacque la Fiaschetteria, con il simbolo del fiasco e della paglia, ubicata in via De Sanctis, di fronte all'ex Banco di Napol».
 

Come fu accolta questa novità?

«Con un successo inaspettato. In quel periodo, c'era il mercato bisettimanale in Pazza Libertà e la fermata dei pullman era nel piazzale della posta centrale. Quando i mercatali arrivavano, si recavano direttamente alla fiaschetteria, dove facevano colazione con le parigine, i panini con il baccalà o il tonno. Nel locale, affluivano anche 300 persone ed avevamo solo 5 tavoli all'interno».
Ma il boom, non è stato negli anni '80?
«Abbiamo sempre avuto clienti affezionati che, in verità, dopo il terremoto ci chiesero di cercare locali più ampi. Così, ci trasferimmo a via Pironti, dove avevamo 70 coperti, trasformandoci in osteria».
Cosa cambiava rispetto al passato?
«Preparavamo primi, secondi, contorni, accompagnati da un ottimo aglianico, al prezzo di settemila lire. Da noi venivano tante persone. Ad esempio, alle 13.30, il locale era zeppo di dipendenti degli istituti bancari. Poi, con l'aumento dei prodotti, abbiamo fissato il pasto completo a diecimila lire».
Cos'è la cucina per la famiglia Petrozziello?
«Sacrificio e passione. Sono gli stessi ingredienti che anche oggi, con mia sorella Ornella, utilizziamo per conquistare la fiducia dell'avventore».
Qual è il piatto forte della vostra Osteria?
«Ieri, come oggi che abbiamo riaperto, la pasta e fagioli. Anche in questo caso accontentiamo il cliente. C'è chi preferisce la pietanza calda, chi riposata, chi, addirittura, desidera il piatto composto da un mestolo di prodotto caldo e uno freddo».
Altro piatto forte?
«Il venerdì è dedicato al baccalà, cucinato in diversi modi, al pomodoro, fritto o all'insalata. Richiestissima è anche la lasagna avellinese, un piatto molto speciale, preparato con le polpettine, l'uovo ed il sugo cucinato con le tarachelle di maiale, il cotechino e le braciole. In passato, la nostra lasagna veniva cotta con il forno a legna».
Può citare qualcuno dei suoi clienti?
«Da noi sono passati un po' tutti, dall'onorevole De Mita al senatore Mancino, dai calciatori dell'Avellino, che mangiavano la zuppa di baccalà con i crostini, ai tifosi della Curva Sud.

Il nostro locale era aperto a chiunque, anche ai poveri. Quando dicevano di non poter pagare, papà sorrideva, aggiungendo di sedersi e mangiare. La sua simpatia, la sua generosità conquistavano proprio tutti. Ora, con mia sorella Ornella, continuiamo il solco della tradizione e della cordialità».

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