Benevento, sanità è rebus donne: lavora soltanto il 48%

Molte non godono di aiuti concreti per crescere i figli

La sanità
La sanità
di Luella De Ciampis
Giovedì 4 Aprile 2024, 08:42
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Nelle strutture sanitarie del Sannio, il 48% degli operatori è costituito da donne che non godono di aiuti concreti per crescere i figli e sono costrette a scegliere tra carriera e famiglia. Un dato, quello relativo alla provincia di Benevento, che si rivela in sintonia con le statistiche regionali e del Sud Italia, anche se leggermente più basso, ma non con il resto della nazione, dove le donne che lavorano alle dipendenze del Servizio sanitario nazionale rappresentano il 76% dei dipendenti.

Il divario tra Nord e Sud è legato soprattutto alle difficoltà che le donne devono affrontare per crescere i propri figli, visto nel Mezzogiorno si registra la carenza di strutture adeguate per accogliere i bambini in tenera età. Bisogna tener conto che una donna che sceglie di fare il medico o l’infermiera in ospedale oppure in una clinica privata deve fare i conti con i lunghi turni di lavoro e con le guardie notturne che la tengono lontana da casa e dalla prole anche in tenera età per molte ore nel corso delle giornata lavorativa.

Tra l’altro, non esistono sul territorio sannita asili nido aziendali che consentano di portare il bambino in un ambiente protetto, sul luogo di lavoro e di riprenderlo a fine turno, mentre ce ne sono solo due a Napoli, per la precisione al «Cardarelli» e all’azienda ospedaliera universitaria Federico II.

Il quadro

Durante l’emergenza pandemica, sono stati chiusi sia l’asilo nido del «Moscati» di Avellino che il baby parking dell’ospedale dei Colli, mentre al Nord sono concentrati 208 asili aziendali dei 220 esistenti sull’intero territorio nazionale.

Le alternative per una mamma che lavora in ospedale sono rappresentate dal ricorso al supporto dei suoi stessi familiari, a una baby sitter a tempo pieno oppure all’asilo, che ha un costo medio della retta mensile di 300 euro.

In molti casi, le mamme in carriera decidono di fare un solo figlio perché è meno oneroso farlo crescere in quanto i nonni, che rappresentano un importante punto di riferimento in queste circostanze, spesso non hanno le forze necessarie per potersi occupare di più di un bambino. Tutte queste condizioni incidono fortemente sulla scelta di maternità delle donne medico che, come in altri ambiti lavorativi, decidono di avere un solo figlio.

Si tratta di un fenomeno dilagante che appunto non riguarda solo l’ambito sanitario ma si estende anche ad altri settori nei quali i datori di lavoro, soprattutto se privati, non accettano di buon grado eventuali maternità delle dipendenti. La creazione di asili nido aziendali risolverebbe una serie di problemi in quanto le mamme medico e infermiere potrebbero portare i piccoli al lavoro subito dopo la fase di congedo per maternità, monitorarli nei momenti di pausa, tra un’attività e l’altra, ed evitare una serie di disagi che finiscono per coinvolgere tutto il resto della famiglia.

Un modello organizzativo sanitario ancora poco declinato al femminile determina infatti pesanti ricadute personali, familiari e sociali perché non tiene conto del delicato equilibrio tra i bisogni percepiti e reali della donna medico e delle complessità delle sue esperienze lavorative, diventando un ostacolo alla crescita professionale e lavorativa.

Le criticità

Crescita penalizzata dalla maternità, ma anche dai carichi di lavoro, dalla conciliazione dei tempi di vita con quelli della famiglia e del lavoro, dai percorsi di formazione e di carriera, cui si aggiungono inevitabilmente le discriminazioni, le molestie, il mobbing.

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Attualmente, oltre il 70% delle donne medico del territorio ha almeno un figlio, il 30% non ne ha, mentre l’età media delle dottoresse in servizio è di circa 40 anni. I carichi di lavoro, conseguenti ai concedi per maternità e per esigenze di famiglia, finiscono poi per ricadere - di fatto - sui colleghi in servizio perché quello del medico è un lavoro di squadra e quindi l’assenza di una dipendente per maternità, se non è oggetto di sostituzione, alla fine finisce per essere percepita in modo negativo nell’ambiente lavorativo.

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